Franco Giubilei
Ansia, senso d’isolamento, disturbi del sonno. La clausura forzata da coronavirus ha colpito soprattutto bambini e adolescenti, costretti a fare a meno della compagnia dei coetanei in un’età in cui il contatto fisico è fondamentale, come rivela l’indagine di Telefono Azzurro e Doxa Kids condotta su un migliaio di famiglie italiane. «I bambini, che sono i più fragili, sono i veri dimenticati di questa situazione», racconta il professor Ernesto Caffo, presidente dell’Onlus.
Perché i ragazzi hanno sofferto tanto durante la quarantena?
«Il loro è un rapporto soprattutto corporeo, e il tema del corpo è già fortemente rimosso a causa della società digitale in cui viviamo. In questi mesi, tutti ristretti in contesti domestici, i ragazzi si sono ritirati e chiusi in una dimensione inaspettata, senza una vera consapevolezza di pericoli che erano ben presenti agli adulti, anche perché il tema della morte riguardava fasce d’età lontane dalla loro».
E come hanno reagito?
«Hanno spento le loro emozioni e si sono messi a mandare messaggi, ma il contatto fisico continua a rimanere importante. In condizioni normali viene giocato anche nello sport, che però è stato sospeso, insieme alla scuola e alle attività sociali. Tuttora la ricostruzione, con le scuole chiuse per l’estate, non è facile soprattutto per gli adolescenti».
Perché dice che i ragazzi sono stati dimenticati?
«Perché anche ora mancano regole uniche che facciano funzionare i centri estivi, per esempio. Tutto il mondo delle attività è saltato, dai campi scout alle vacanze studio, e noi dimentichiamo la dimensione emotiva dei ragazzi. Prima potevano sfuggire a famiglie disfunzionali, con il lockdown non hanno più potuto. Neanche i genitori hanno parlato con loro, a causa delle preoccupazioni legate agli anziani e al lavoro, e così l’ascolto è mancato anche in famiglia, oltre che da parte dei loro coetanei».
Quali conseguenze avete riscontrato?
«Disturbi d’ansia, dell’umore, del sonno, dell’alimentazione, più altri di ambito somatico, come le gastralgie. Nel periodo della quarantena, le chiamate al Telefono Azzurro legate al disagio psicologico e mentale sono arrivate al 30% del totale, quando normalmente sono pari all’8-10%».
Di che problemi hanno parlato coi vostri operatori?
«Fra i temi toccati ci sono la mancanza di prospettive, la paura della morte, la tendenza a non avere fiducia nel futuro. I veri effetti però si vedranno fra qualche mese: paure e tensioni lasciano i loro segnali, ci aspettiamo un aumento dei disturbi alimentari. Abbiamo osservato un aumento complessivo delle chiamate a cominciare dalla seconda settimana di quarantena, quando gli effetti della chiusura hanno cominciato a intensificarsi. Telefonate, ma soprattutto messaggi scritti, arrivavano con maggior frequenza di notte».
La vostra indagine ha evidenziato anche un uso eccessivo dei social e dei giochi online.
«Non avendo alternative, i ragazzi hanno trovato spazio nell’online. Hanno ascoltato molta musica e usato i loro canali, anche abusando degli strumenti, andando incontro a elementi di grande rischio, perché in rete gli adolescenti cercano di tutto: dai giochi inadeguati ai siti pornografici».
Adesso come si può cercare di aiutarli a superare lo stress dell’ultimo periodo?
«Bisogna sviluppare momenti in cui i ragazzi possano raccontare la loro esperienza, in modo che riescano a rielaborare paure e lutti. Servirebbe a far loro immaginare un futuro, fornendo idee e mettendosi in ascolto. Soprattutto i genitori dovrebbero ascoltare i loro racconti, perché i ragazzi raccolgano qualcosa di positivo da quanto hanno passato. Occorre costruire percorsi comuni, integrando la mente con il corpo».
C’è anche il problema dei ragazzi seguiti dai servizi di salute mentale: come si può aiutarli?
«Il mondo delle disabilità è rimasto senza assistenza durante il lockdown. Bisogna dare sostegno alle famiglie, mentre i servizi per i ragazzi in difficoltà devono restare aperti tutta l’estate. Vanno rimessi in gioco tutti i meccanismi di tutela».