Prato
Il direttore Stefano Collicelli Cagol presenta il programma degli eventi, a cominciare dalla mostra aperta oggi “ Giardino dell’arte” L’inizio di un’altra era
Fulvio Paloscia Prato
Il Pecci ricomincia dal Pecci. Dalla valorizzazione del proprio patrimonio che il nuovo direttore, Stefano Collicelli Cagol, intende risistemare, arricchire, e esporre in modo permanente. L’immagine che il quarantaquattrenne curatore padovano — laureato in Conservazione dei Beni Culturali alla Cà Foscari di Venezia e con un PhD al Royal College of Art di Londra sull’arte contemporanea italiana tra anni 30 e 50 — dà del futuro è suggestiva, e s’ispira alla conformazione architettonica del centro pratese, « simile ad una cassa armonica che irradia i suoni (e le dissonanze) dal proprio centro verso l’esterno. Questa istituzione, dunque, dovrà partire da se stessa per poi fare rete nella città, sul territorio, nelle regioni limitrofe, estendosi poi all’arte internazionale». Ma la proiezione verso l’esterno a nulla varrà se prima il Pecci non recupererà la propria identità « di macchina complessa: a differenza di altre istituzioni nate nelle ultime decadi, il Pecci ha sempre mantenuto la parola Centro preferendola a museo, per identificare la vocazione multidisciplinare sempre in divenire e che dovrà ancor più intervenire sull’attività. Perché ormai musica, architettura, design, moda, food condividono sempre di più gli stessi immaginari, e il visitatore dovrà avere il senso che ogni area appartenga armonicamente ad uno stesso progetto, seppure in completa autonomia. Cosa che fino ad oggi mi pare non fosse molto evidente».
Un Pecci multitasking, dunque, « da vivere tutto il giorno, non solo per le mostre ma per le tante opportunità culturali: dal settore educativo ai libri agli spettacoli all’aperto al cibo nel bistrò » . Un primo passo saranno i sabati per le famiglie, programma integrato di proiezioni cinematografiche, visite, laboratori didattici che si svolgeranno nell’arco dell’intera giornata: « Costruiremo un Centro Pecci che risponda ai bisogni della cittadinanza», grazie al bagaglio di esperienze che Collicelli Cagol si porta dietro dai due percorsi della sua carriera, «la ricerca accademica, ma anche l’approfondimento delle istituzioni e delle procedure con il lavoro al Castello di Rivoli, a Villa Manin, alla Quadriennale romana » . Il nuovo direttore vive a Prato da gennaio « ma la mia tesi londinese, sulle origini del Centro internazionale delle arti e del costume di Palazzo Grassi a Venezia, e sul mecenatismo della Snia Viscosa, fa sì che io conosca il vocabolario di questa città: il tessuto. Con tutte le sue potenzialità — dall’architettura industriale al sistema di accoglienza alla rete museale — Prato deve essere il fondamento della narrazione del Pecci. Gli ultimi due duri anni ci hanno fatto capire quanto l’arte contemporanea e più in generale la cultura ci permettano di leggere il mondo di oggi, per averne cura. E l’idea di cura sarà un elemento fondamentale del nostro lavoro » . Intesa in senso “umano” e storico-artistico.
A cominciare dalla prima mostra programmata e ( appunto) curata dal nuovo direttore, Il giardino dell’arte. Opere, Collezioni, che si apre oggi e proseguirà fino al 24 luglio, e il cui titolo gioca con l’immagine del museo e del giardino come luoghi dedicati al ristoro, ma anche alla bellezza. « Il tema della collezione proprio come atto di cura è centrale nel dibattito artistico attuale — spiega Collicelli Cagol — e questa mostra, che espone opere di proprietà del centro ad altre in prestito, è il primo passo verso il ripensamento della collezione permanente » . Da Alighiero Boetti a Savinio, da Daniel Buren a Roberto Burri, Nan Goldin, Roni Horn, Sara Leghissa ( con una grande opera grafica sulla didattica a distanza) le dieci sale affermano il ruolo decisivo dell’arte per la comunità, perché capaci di narrarla da punti di vista eccentrici rispetto al mainstream politico e sociale. Sarà esposta anche un’opera di Monica Bonvicini, entrata nei caveau del Pecci nel 2021 insieme a quelle di Giulia Cenci, Chiara Fumai, Elena Mazzi e Sara Tirelli, Paola Pivi grazie al Pac, il piano per l’arte contemporanea del Ministero, in un progetto che recupera la mancanza di rappresentazione dell’identità femminile nella collezione pratese.
Il territorio toscano sarà indagato dalle prossime mostre. Ricordi di Tecno-ecologia (21 maggio-25 settembre) riaccende i riflettori sul gruppo radicale fiorentino 9999 che in potentissimi collage cancellavano ogni possibile dicotomia tra uomo, tecnologia, mondo biologico, futuro e presente. Schema 50. Una galleria fra le neo- avanguardie ( 1972- 1994),
ideata da Stefano Pezzato, responsabile delle collezioni e degli archivi del Pecci, ( 21 maggio- 25 settembre) celebra il cinquantesimo anniversario dello spazio espositivo fiorentino, e il centenario della nascita del suo fondatore Alberto Moretti. Un viaggio nell’attività della galleria, concentrata sull’arte concettuale e postconcettuale, sulla performance, l’happening, l’architettura radicale, l’arte antropologica e politica e che coinvolse artisti come Chiari, Kounellis, De Domincis, critici quali Eugenio Battisti, Achille Bonito Oliva, Lara-Vinca Masini, e ospitò azioni di Vito Acconci, Chris Burden, Allan Kaprow. Dal 16 settembre all’ 8 gennaio, infine, Hagoromo, la personale di Massimo Bartolini ( a cura di Luca Cerizza con Elena Magini): l’artista di Cecina rivisita la propria storia attraverso la più grande installazione da lui realizzata.