Il segretario di Stato vaticano e la convention del laicato cattolico
Gian Guido Vecchi
«È piuttosto evidente che negli ultimi vent’anni si è consumato un arretramento delle forze di ispirazione cristiana nella vita pubblica, a tutti i livelli». Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, terrà oggi una lectio alla presentazione della «Pubblica agenda “Sui tetti” del laicato cattolico», all’Angelicum di Roma, un’ iniziativa «prepolitica» di una settantina di associazioni, cui interverrà anche il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei.
Eminenza, è un buon segno che vogliano un cambio di passo nella presenza pubblica? E cosa ha da dire loro la Chiesa?
«Questa iniziativa, promossa da molte associazioni del laicato cattolico, è stata preceduta da una lunga attività preparatoria e conferma l’attualità dell’insegnamento del Concilio: nel decreto Apostolicam actuositatem, chiedeva ai laici un apostolato più intenso ed esteso, e tanto più urgente nel mutare dei tempi. Mi sembra importante ribadire, come indicato anche da Papa Francesco, che il Concilio non guarda ai laici come se fossero membri di “second’ordine, al servizio della Gerarchia e semplici esecutori di ordini dall’alto”, ma come battezzati che sono chiamati ad animare e perfezionare con lo spirito cristiano l’ordine delle realtà temporali, agendo come fermento. Il messaggio che noi possiamo dare è anzitutto di incoraggiamento, di indirizzo e di conferma. Questa sinergia sviluppa l’insegnamento paolino: la Chiesa è un Corpo unitario, sebbene costituito da molte membra, ciascuna con la sua funzione».
C’è un problema di irrilevanza dei cattolici in politica?
«Non penso solo alla rappresentanza politica. La rilevanza dei cattolici in politica interviene comunque in un momento secondario. Quello primario è la rilevanza nella società. È lì che i cattolici devono essere presenti, visibili, testimoni di una visione e di uno stile di vita ispirato al Vangelo. Questa rilevanza precede l’altra, che ne dovrebbe costituire la conseguenza naturale. Altrimenti è come voler costruire un edificio senza fondamenta. Non può reggere e sarebbe una fatica vana».
Perché pensa sia accaduto? Ci sono stati errori o è lo spirito dei tempi?
«Le cause di questo arretramento sono molteplici. La prima è la stessa crisi di fede, che a sua volta è in parte conseguenza della secolarizzazione. Una secolarizzazione che, all’inizio di questo secolo, ha conosciuto un’accelerazione potente anche per effetto del processo tecnologico e digitale, il quale sta trasformando sempre più e sempre più velocemente i nostri stili di vita e il modo di pensare. Questa trasformazione ha colto di sorpresa anche l’istituzione ecclesiale».
Ma che significherebbe la «rilevanza» dei cattolici? L’influenza e il potere che avevano ai tempi della Dc? O che altro?
«Significherebbe, in positivo, la loro visibilità in tutti gli ambiti della vita pubblica e privata. Così potrebbero essere quel “fermento” indicato dal Concilio. Non dobbiamo pensare di certo a riproporre gli schemi del passato, ma a una presenza diffusa che, a partire dall’ambiente sociale e culturale, faccia emergere le istanze loro proprie: istanze che non sono esclusive dei cristiani ma riguardano l’uomo in generale, di ogni luogo e tempo. Ma occorre che ve ne siano le condizioni. Prima tra tutte, garantire un’effettiva libertà religiosa, che implica la libertà di esprimere il proprio convincimento senza ostacoli o pregiudizi superando la divisione artificiosa tra pubblico e privato, come se la fede potesse essere espressa solo nella dimensione intima della persona».
Spesso sono divisi: «conservatori» attenti ai temi etici, «progressisti» ai quelli sociali. C’è il rischio siano strumentalizzati?
«Punti di vista diversi nella Chiesa e tra i cattolici vi sono sempre stati e, in una certa misura, servono per vivere anzitutto tra di noi la misericordia. A me piace citare una frase di San Giovanni XXIII: unità nelle cose necessarie, libertà in quelle non necessarie, carità in tutte. Più che di divisioni, preferisco parlare di differenze di accenti e prospettive. È un grave errore pensare che i temi più esplicitamente etici o bioetici siano altra cosa rispetto ai temi sociali e non vi sia continuità. Sono due facce della stessa medaglia. Non si possono inquadrare correttamente i temi sociali se non a partire da una certa antropologia e viceversa. Questa separazione non ha fondamento ed è dannosa alla stessa azione ecclesiale. Quando si perde la visione d’insieme, intervengono le divisioni e si corre il rischio di essere strumentalizzati».
Come si può evitarlo?
«Esiste un solo rimedio, lo stesso da duemila anni. Ritornare alle radici di ciò che ci unisce. Ripartire da ciò che è comune. Dialogare, confrontarsi, anche scontrarsi, ma alla fine e sempre riconoscersi parte dello stesso Corpo: solo così le differenze diventano ricchezza, la pluralità comunione».