di Massimo Franco
C’ è qualcosa di stanco, nel modo in cui la minoranza del partito fa l’opposizione a Matteo Renzi. Si assiste ad un canovaccio scontato, con numeri parlamentari che confermano una fronda in realtà meno corposa di quanto si potrebbe immaginare: quella emersa ieri sulla riforma della scuola è l’ultimo esempio. In parallelo, si invoca un’urgenza per chiarire identità e strategia del Pd, che però viene rinviata a dopo le elezioni regionali di fine maggio. Segno che si tratta di urgenza relativa; o comunque, che prima di trattare col premier i suoi avversari aspettano il voto e sperano in una vittoria risicata.
Ma è difficile che il governo esca sconfitto da quell’appuntamento. Il centrodestra versa in condizioni pietose, soprattutto Forza Italia. E, nonostante le tensioni a sinistra, e i sondaggi che danno il Pd in leggera flessione, le distanze con gli avversari rimangono nette. Renzi confida almeno in un 5 a 2 che gli consentirebbe di zittire i suoi critici e andare avanti. Anche se sa bene che la sfida vera non è quella. Si concentra sull’economia, sulla capacità di non pagare un prezzo troppo alto alla questione del buco delle pensioni e alla riforma scolastica.
L’insistenza di Silvio Berlusconi, ma anche del Movimento 5 Stelle e della Lega su un governo che non riesce ad abbassare le tasse, cerca di intercettare un malessere diffuso. Idem il martellamento sui rimborsi ai pensionati, con l’accusa di «prenderli in giro»; e di avere presentato il decreto che contiene l’ una tantum senza averlo nemmeno consegnato al Quirinale. «Questo governo ha aumentato la pressione fiscale. Con il mio esecutivo era arrivata a meno del 40 percento, oggi è oltre», ricorda Berlusconi, dimenticando però di avere portato l’Italia sull’orlo del baratro finanziario nel 2011.
Renzi può ribattere presentandosi come il premier che finalmente «ha fatto le cose»; ed è riuscito, così sostiene, a piegare l’Europa ad un’agenda economica che non prevede più solo misure di austerità ma anche per la crescita. E tende a dimostrare che anche gli inciampi più eclatanti non nascono da questa maggioranza, ma dagli errori del passato: nel caso della sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni, dalla riforma fatta dal governo Monti e firmata dal suo ministro Elsa Fornero.
Rimane il fatto che l’ una tantum data a una parte dei pensionati danneggiati alimenta lo scontento. Evita «punizioni» da parte dell’Ue nei confronti dell’Italia, ma impedisce anche di accelerare la ripresa. Nei prossimi dieci giorni, Renzi dovrà convincere gli elettori che non si poteva restituire tutto. Il rimborso totale, ha spiegato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, «avrebbe comportato una spesa in più pari a circa 17,6 miliardi». Insomma, sarebbero saltati i conti. Bisogna capire se basterà questo a placare lo scontento cavalcato dagli avversari.