Oggi conosceremo il primo responso di un’agenzia di rating sull’Italia che riguarderà anche il nuovo esecutivo. Si pronuncerà Fitch e seguiranno nelle prossime settimane Moody’s e Standard & Poor’s; un trio che potrebbe essere particolarmente insidioso per il Paese. Gli osservatori escludono che oggi si decida un declassamento del debito; è molto probabile che vi sia una conferma del rating, accompagnata da una modifica dell’outlook da stabile a negativo oppure anche senza una tale variazione ma con argomentazioni che suonano come una campana di allarme e di sveglia. Abbiamo scritto in diverse altre circostanze dei limiti di questi giudizi e non manchiamo di riproporre sovente la necessità di una seria modifica della normativa che disciplina le agenzie in questione. In questo caso tuttavia sembra che si stia facendo di tutto da parte di esponenti del governo (con il caos e la contraddittorietà delle dichiarazioni, in specie per quel che concerne la finanza pubblica, per la mancanza di una chiara prospettiva di politica economica, per il rilancio acritico delle nazionalizzazioni, per la mancanza della trattazione dei problemi veri) per motivare una valutazione non favorevole sul futuro. Non è ancora chiaro se la linea dell’esecutivo sia quella, equilibrata e per alcuni aspetti responsabilmente problematica, del ministro dell’Economia Giovanni Tria oppure quella di quei membri del governo, a cominciare dal vicepremier Luigi Di Maio, che non escludono la possibilità di violare il parametro del 3% del rapporto deficit/ pil e insistono con somma leggerezza sulla possibilità di non corrispondere il contributo italiano al bilancio comunitario, nell’inconsapevolezza delle possibili conseguenze anche economiche. Finora in migliaia di dichiarazioni rese da membri dell’esecutivo – se si eccettuano Tria e Savona – non si è mai sentito menzionare il problema del debito, della produttività, dell’innovazione, della competitività e del riflesso di tutto ciò sull’occupazione. Sembra quasi scomparsa dal vocabolario della maggioranza l’espressione «riforme strutturali» che dovrebbe essere il pendant di un’efficace politica degli investimenti. Non è ancora cessato quel fenomeno, descritto da Antonio Fazio come bradisismo dell’economia, che vede l’Italia costantemente perdere terreno nei confronti di partner europei, a cominciare dal fronte della produttività. Allora, se neppure sotto il profilo dell’analisi larga parte del governo dimostra di avere una piena padronanza della situazione, è immaginabile che le valutazioni non possano essere esaltanti. Del resto, se è vero che si è posta l’esigenza, innanzitutto da parte del premier Giuseppe Conte di dare vita a una interministeriale cabina di regia a Palazzo Chigi (che stranamente però non vedrebbe la partecipazione dei due menzionati ministri più importanti per l’economia) allora vuol dire che una certa resipiscenza potrebbe iniziare a manifestarsi in funzione dell’obiettivo, che oggi appare lontanissimo, dell’«unica voce». In questo contesto l’espressione oggi del giudizio da parte di Fitch dovrebbe essere l’occasione per riorganizzare impostazioni, programmi, iniziative in funzione della redazione di quello che potrebbe essere un vero e proprio nuovo Def e della proposta di Legge di Stabilità. Se non si dovesse agire seriamente in questa direzione, le valutazioni delle altre due agenzie che seguiranno potrebbero essere un colpo durissimo, fino a incidere sui presupposti per il rifinanziamento da parte della Bce. La crescita deve essere in primo piano e comportare una serie di azioni alle quali non ci si può più sottrarre. Un piano consistente, sequenziale, per il debito è fondamentale e la negoziazione europea non potrà escludere aggiustamenti che arrivino fino all’introduzione della «golden rule» per gli investimenti pubblici. Insomma, oggi si potrà verificare la metafora dell’insegnante (fuor di metafora, i mercati, i risparmiatori, le agenzie di rating, Bruxelles) che avverte l’alunno che ha possibilità di riparare alle negative interrogazioni preparandosi adeguatamente per una nuova interrogazione prima degli scrutini di fine anno. La serietà dello studio potrebbe dare i suoi frutti. Se invece si risponderà secondo la logica del sovranismo e del populismo (secondo la funesta espressione «tanti nemici, tanto onore», allora ci dovremo preparare al peggio.