Occupati, è crescita record. Ma con i contratti a termine.

 

Lavoro Mai così dal 1977. Le disparità di genere in busta paga.
Gli occupati in Italia sono più di 23 milioni. Mai così tanti dal 1977, come sottolinea il premier Paolo Gentiloni. Ma, ribatte, la leader Cgil Susanna Camusso «c’è un ennesimo boom dei contratti a termine». Record anche per quanto riguarda il tasso di occupazione femminile che ha toccato il 49%. Però rimane la disparità di genere in busta paga.
Davanti ai nuovi dati Istat sull’occupazione vale la pena di tirar in ballo la vecchia differenza tra quantità e qualità. Non c’è dubbio, infatti, che l’andamento degli occupati abbia fugato le paure di quanti – compreso chi scrive – temevano una jobless recovery, una ripresa senza lavoro. E invece il primo anno di buona ripartenza dell’economia italiana, anche se al ritmo dell’1,5% di incremento del Pil, sta portando come conseguenza un aumento del numero degli occupati ben oltre la soglia psicologica dei 23 milioni e una significativa riduzione della disoccupazione giovanile. Volendo generalizzare si può dire che la ripresa comincia «a scaricare a terra» i suoi effetti benefici. Per di più le previsioni sul 2018 non sembrano essere influenzate negativamente dall’imminente ciclo elettorale – nonostante tutte le incertezze che lo caratterizzano – e quindi i principali istituti di ricerca confermano un altro +1,5% di Pil (disposti però a correggerlo in itinere all’insù). È la dimostrazione, se vogliamo, del peso prevalente delle componenti esogene della ripresa – il commercio internazionale – su quelle endogene. E comunque le buone performance dell’indice di fiducia di consumatori e di imprese confermano ulteriormente la tendenza e ci autorizzano a lasciar da parte gli scenari più grigi.

Se però dalla quantità passiamo a osservare la qualità dell’occupazione non possiamo dormire tra i classici due guanciali: il 90% dei nuovi occupati degli ultimi due mesi ha firmato un contratto a termine. Molto dipende dalla spinta dei servizi a basso valore aggiunto (e labour intensive) e dai contratti stagionali legati al turismo e alle feste di fine d’anno ma anche nella manifattura la ricerca della flessibilità ha avuto la meglio sul Jobs act. Ci sarebbe bisogno di saperne di più su questo 90% per capire la durata dei contratti, i livelli di retribuzione, la coerenza del profilo professionale con la formazione ricevuta e via di questo passo. Tutti questi elementi sarebbero utili per arrivare alla conclusione se ci troviamo di fronte a una modifica strutturale del nostro mercato del lavoro o se il predominio del contratto a termine è dovuto a una serie di anomalie/ritardi/incomprensioni tutto sommato emendabili.

Un test importante per aggiornare queste riflessioni è rappresentato dal ritorno degli incentivi reintrodotti con decorrenza 1 gennaio seppur limitati nella platea interessata (i soli under 35) e nell’incidenza. Potremo capire meglio i comportamenti delle imprese e vedere se quel clima di fiducia di cui si parlava si spinge fino alla decisione di allargare stabilmente la pianta organica diminuendo il ricorso ai contratti a termine.

 

Corriere della Sera.

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