Il volo del Santa Maria della Scala «Il raddoppio non basta, rilancio»
Siena, primo bilancio del direttore Pitteri: visitatori cresciuti del 60%, è solo l’inizio
Giulia Maestrini
SIENA Il suo mandato, incarico fiduciario legato a quello del sindaco Bruno Valentini, scadrà a primavera, con le elezioni. Ma Daniele Pitteri, da febbraio 2016 direttore del Santa Maria della Scala, sarebbe pronto a restare. Anche se non dipende da lui. «Certo che mi piacerebbe restare a Siena — spiega — anche perché abbiamo appena iniziato un percorso: altri due anni sarebbero opportuni, il mandato di un direttore dovrebbe durare quattro anni come quello dei “super manager” della riforma Franceschini. Non porterei a termine tutto il lavoro, è vero, ma un assestamento migliore, quello sì».
La nuova era del Santa Maria della Scala è iniziata. Dopo anni di stallo — dovuti in parte a una politica che ha fatto dell’ex Spedale sulla Francigena un terreno continuo di scontro e, in parte, alla crisi del Monte dei Paschi che ha interrotto i finanziamenti a pioggia del passato — adesso per il complesso museale di piazza del Duomo le cose stanno cambiando davvero.
Merito anche del bando per il direttore — fortemente voluto dal sindaco Valentini — che ha definito finalmente, per il complesso, una forma gestionale e l’esigenza di un’autonomia finanziaria. Il primo risultato, tangibile, è la grande mostra dedicata ad Ambrogio Lorenzetti che chiuderà il 21 gennaio: importate perché è la prima imponente produzione culturale della città dai tempi della mostra su Duccio (2003) e perché segna definitivamente la riapertura e la fruibilità dell’ala di palazzo Squarcialupi, chiusa da tempo.
Direttore, perché l’evento su Ambrogio è importante?
«Perché segna il ritorno di Siena nel circuito dei grandi progetti culturali: il paragone con la mostra di Duccio può essere fatto non per la dimensione né per il budget, ma perché anche qui c’è un’opera di restauro, manutenzione e salvaguardia del patrimonio, non solo della città (uno dei pezzi è arrivato dalla National Gallery a condizione che si facesse il restauro, ndr ). Inoltre, portiamo all’attenzione di pubblico e studiosi un pittore di estrema grandezza, molto famoso per una sola grande opera (gli affreschi del Buono e del Cattivo Governo in Palazzo Pubblico, ndr ), ma poco conosciuto per il resto della produzione».
Segna anche la riapertura di Squarcialupi: uno dei suoi obiettivi era proprio rendere fruibile tutta la parte già restaurata del Santa Maria…
«Se non lo avessimo raggiunto non avremmo fatto la mostra su Lorenzetti; oltre ai lavori di messa in sicurezza, antincendio e antiintrusione, infatti, ci siamo occupati dei sistemi di microclimatizzazione e umidizzazione che sono fondamentali per ricevere prestiti da musei importanti. Adesso destineremo l’ultimo piano a eventi, convegni, piccoli concerti: uno spazio da 300 posti a sedere che nel centro storico non c’era».
Anche il 2018 sarà un anno di interventi importanti?
«Investiremo ancora sulla riorganizzazione dell’offerta permanente, con il ritorno del Tesoro e delle reliquie e la riunificazione della collezione Spannocchi, resa possibile da un accordo di valorizzazione dei beni culturali firmato con il ministero, il primo del genere siglato con un Comune».
E l’attività temporanea?
«Avrà un calendario intenso: il Bauhaus con Joseph e Annie Albers, Li Chevalier (artista franco cinese che ha già esposto al Macro), la collaborazione continua con l’Accademia Chigiana, una mostra sull’influenza tra arte e rock».
Il 2017 è stato il suo primo vero anno completo di lavoro: come è andato?
«Secondo i numeri, molto bene: abbiamo avuto oltre 132 mila visitatori, più i 26 mila della mostra su Lorenzetti, con un aumento del 60% rispetto al 2016. Un grande salto in avanti che è l’effetto di un mix: la centralizzazione della biglietteria (dal 1 marzo è unica, dentro il Santa Maria, anche per Cattedrale e Opera del Duomo, ndr ), il biglietto cumulativo, una comunicazione cresciuta anche sui social attraverso un passaparola virtuoso. Ma è solo l’inizio: il Santa Maria si deve attestare stabilmente sui 350-400 mila visitatori annui».
Cosa lascerà (o lascerebbe) in eredità?
«Soprattutto il piano strategico di sviluppo 2018-2021, con modalità di sostentamento e ipotesi di autonomia finanziaria. E con linee di indirizzo che ci permettono di confermare gli elementi fondanti dell’identità di questo luogo (cura, accoglienza, incontro, welfare), declinandoli nella sua nuova destinazione d’uso: non più luogo di cura delle persone ma, attraverso la produzione culturale, di cura dell’anima».
Venerdì 5 Gennaio 2018, Corriere Fiorentino.
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