Intervista Guido Guidi, capo Pharma Europa, dopo la vendita del polo di Siena a Gsk.«Senza strategia niente hub farmaceutico. Fate consorzi tra i piccoli» La Pharma Valley in Toscana? «Si può fare anche in Lombardia»
L a Pharma Valley italiana, che il presidente della Toscana Enrico Rossi ha proposto? Si può fare, «ma anche in Lombardia». E la crescita nel Paese, dopo la cessione a Glaxo della divisione Vaccini, forte proprio in Toscana? È possibile, a patto che ci sia un piano chiaro del governo. «Siamo pronti a investire in Italia, ma ci sia un programma sulla ricerca coordinato, una strategia», dice Guido Guidi, capo della divisione Farma in Europa di Novartis. Commenta con un «bene» la recente proposta del premier Matteo Renzi di fare dell’Italia l’hub, il fulcro europeo del farmaco, ma chiede «una strategia». Eccola: «I piccoli e medi produttori farmaceutici italiani si consorzino per fare massa critica sulla ricerca. Noi possiamo partecipare». Anche perché, con il franco svizzero supervalutato, l’Italia dell’euro «è un’opportunità». Guidi, da 25 anni in Novartis, è un medico, specializzato in Immunologia e reumatologia. Laurea con lode a Milano, studi ad Harvard e Losanna, coordina 8 mila persone in 50 Paesi. È l’uomo che ha promosso in Novartis la filosofia della «centralità del paziente». Martedì scorso era a Basilea, nel campus svizzero del quartier generale, all’approvazione del bilancio 2014 della multinazionale guidata dall’amministratore delegato Joseph Jimenez: conti in crescita (vedi grafico), qualche timore per via del superfranco. Anche in Italia, dove ha quattro stabilimenti, Novartis ha chiuso bene l’anno: +5% i ricavi a 2,034 miliardi, 221 milioni investiti in ricerca, 26 dipendenti in più (sono 4.679). Ma c’è chi teme che possa ridurre la presenza nel Paese, perché ha ceduto la divisione Vaccini a Glaxo (che ha avuto il via libera il 28 gennaio dalla Commissione Ue): il passaggio sarà completato entro marzo. In cambio, da Gsk, Novartis ha ricevuto il portfolio Oncologia. Per produrre i vaccini Novartis impiega in Italia 2.035 dipendenti tra Siena e Rosia: la metà dei suoi occupati nella penisola. Che accadrà ora? «La nostra presenza in Italia diminuisce sensibilmente, anche se avremo un piccolo incremento degli organici a Origgio (la sede principale, Varese, ndr) , perché arriveranno persone dall’oncologia di Gsk. Ma Glaxo è uno degli attori principali sui vaccini e questa è un’opportunità, per il polo di Siena per il Paese, di entrare in una prospettiva più forte. Noi abbiamo investito più di 300 milioni negli ultimi due anni a Siena e Rosia, e nel complesso oltre 1,3 miliardi tra ricerca, innovazione ed espansione del sito. Il Centro di Siena è un polo d’eccellenza nei vaccini nel mondo, questa è una buona premessa per il suo futuro e l’occupazione». Perché avete venduto i vaccini? Sono profittevoli. «L’idea è restare nei mercati dove possiamo avere posizione di leadership. Nei vaccini non lo eravamo ». Come vede l’Italia? «Favorevolmente. Siamo la prima azienda per investimenti in ricerca e sviluppo clinico nel Paese, abbiamo circa 250 studi in corso su oltre 15 mila pazienti reclutati. La ricerca cinica è di buon livello, c’è competenza nell’identificare e valutare i progetti. Ma c’è una certa incapacità di trasformarli in brevetti». Perché? «Tre motivi. 1) Scarsi investimenti in ricerca: l’1% del Pil è meno della media europea. 2) Struttura frammentata della farmaceutica, troppe piccole aziende: manca massa critica. 3) L’università vede l’ingresso dei privati come qualcosa da mettere all’occhiello, non come vera collaborazione sui progetti. Abbiamo cercato, con un ateneo, di capire dove andavano esattamente gli investimenti pubblici in ricerca: poi abbiamo rinunciato. Non si riesce». Che cosa chiedete? «Una strategia. L’Italia è un Paese importante, la competenza è alta, si ricevono finanziamenti dal ministero della Salute, della Difesa, dell’Istruzione. Ma dove vogliamo andare? Quali sono le aree strategiche? Che cosa può attirare un’industria come Novartis? Quando Renzi dice che vuole fare un hub della farmaceutica deve passare da questo ragionamento. Le aziende decidono sulla base della loro speranza di ritorno, anche in ricerca». Vi siete incontrati? «No, ma vogliamo. Nel 2013 abbiamo proposto all’allora ministra dell’Istruzione, Carrozza, una cabina di regia. Rilanciamo. Siamo pronti a un confronto con Palazzo Chigi sulla futura presenza e strategia della ricerca in Italia. Il gruppo Novartis è il secondo a valore, dopo Toyota, per investimenti in ricerca». A vete un accordo per cedere la divisione Animal Health a Eli Lilly: con che tempi? «Sarà conclusa entro il trimestre». Vi concentrate sull’oncologia, settore affollato… «Ma siamo partiti prima degli altri. La struttura Novartis Oncology, gestita come spin-off, è salita in 13 anni dal 7% al 32% del Farma di gruppo. Il mercato è sempre più competitivo, avere portafogli ampi è importante. L’Italia giocherà un ruolo importante nell’oncologia». Però i rapporti sono difficili. l’Antitrust vi ha multato con Roche di 180 milioni per presunto cartello sul Lucentis, che cura la maculopatia retinica, contro il meno caro Avastin. Il Tar ha confermato, il ministero della Salute vuole 1,2 miliardi di danni… «Incomprensibile. Entro marzo faremo ricorso al Consiglio di Stato. Fra l’altro non si può considerare in competizione un farmaco registrato allo scopo, Lucentis, e uno no». Che cosa pensa di una Pharma Valley in Toscana? «Bisogna concentrare le risorse, sì, ma un buon posto è anche la Lombardia: ha senz’altro il network adatto di ricerca e istituzioni. Senza tralasciare altre regioni importanti, certo». Che effetti avrà su Novartis l’abbandono del cambio fisso per il franco svizzero? «Abbiamo costi fissi in Svizzera abbastanza alti, circa il 13%: è un impatto che dobbiamo assorbire. Ridurremo i costi dei servizi e svilupperemo anche altre aree geografiche». È una ragione per investire di più in Italia? «Sì. Sono stato il fautore della sede europea della divisione Oncologia a Origgio: era un’anomalia, fuori da Svizzera e Usa. Fu criticata. Ora è un vantaggio competitivo, il centro industriale in un Paese euro. Buona garanzia occupazionale».
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