di Antonella Mascali
Al Csm c’è un processo disciplinare appena iniziato e subito rinviato a settembre che nulla ha a che vedere, per oggetto, con il caso Palamara e lo scandalo nomine, ma il soggetto incolpato, il giudice Bruno Giangiacomo, per un attimo ha visto il suo destino professionale incrociarsi con lo scandalo che ha portato nel 2019 alle dimissioni di ben 5 togati del Consiglio. Mai accaduto nella storia dell’organo di autogoverno della magistratura. Giangiacomo, attuale presidente del tribunale di Vasto, quando era gip a Bologna, questa è l’accusa, non si è astenuto da procedimenti in cui c’era come avvocato difensore la presunta amante. Il prologo di questo racconto fa capire perché lo scandalo Palamara sfiori indirettamente Giangiacomo.
Tra fine maggio e giugno 2019 vengono fuori le conversazioni all’hotel Champagne di Roma tra Palamara, pm di Roma, ancora dominus delle nomine, ex togato del Csm ed ex presidente dell’Anm con i deputati renziani Luca Lotti e Cosimo Ferri, magistrato in aspettativa, pure lui ex Csm, grande tessitore di nomine e 5 togati del Csm: Antonio Lepre, Corrado Cartoni e Paolo Criscuoli di Mi, la corrente conservatrice di Ferri; Gianluigi Morlini e Luigi Spina della centrista Unicost, la corrente di Palamara. Come ormai arcinoto, discettano su come condizionare la nomina del nuovo procuratore di Roma e non solo. Il Consiglio, dopo la pubblicazione di quelle registrazioni captate dal trojan nel cellulare di Palamara, indagato a Perugia per corruzione, sprofonda nel baratro. Si dimettono uno dopo l’altro quattro consiglieri su cinque. Resiste Criscuoli, non vuole saperne di dimettersi perché dice ai suoi che quella sera ha fatto scena muta. Come se la sola presenza non fosse comunque del tutto inopportuna, dato che non era una riunione della competente Quinta commissione, ma una riunione segreta, di notte in un albergo e per di più con due parlamentari, di cui uno imputato a Roma, Lotti. A settembre, comunque, Criscuoli si dimette. Fine del prologo.E’ con le dimissioni di Criscuoli che si affaccia il nome di Giangiacomo, presidente del tribunale di Vasto. E’ lui il terzo dei non eletti nella lista giudici di merito al Csm. E’ lui che deve prendere il posto di Criscuoli. I primi due non eletti, Giuseppe Marra e Ilaria Pepe, di Autonomia e Indipendenza, il gruppo presieduto da Piercamillo Davigo, avevano sostituito già prima della pausa estiva i dimissionari, giudici di merito, Morlini e Cartoni. Ma Giangiacomo, consigliere del Csm grazie al caso Palamara, non andrà a Palazzo dei Marescialli. Sarà costretto a rinunciare perché ha un guaio disciplinare pure lui, anche se – ribadiamo – nulla ha a che fare con lo scandalo delle nomine. In quel momento c’è un’istruzione in corso della procura generale della Cassazione perché il giudice, questa è l’accusa, quando era gip a Bologna, tra la fine del 2011 e il 2014 non si è astenuto in ben 12 procedimenti in cui c’era, come detto, la presunta amante, avvocatessa imputata a Bologna per cessione di cocaina, ad anni di distanza dalla presunta relazione. Quando Criscuoli si dimette e quindi Giangiacomo è pronto a subentrare, a P. dei Marescialli si viene a sapere dell’indagine disciplinare a suo carico e Area, la corrente progressista a cui appartiene il giudice, preme perché lui rinunci: non è aria di appigliarsi alle norme che gli permetterebbero di entrare al Csm anche se sotto indagine disciplinare. Ci vuole un gesto “politico”. E Giangiacomo rinuncia. Il 19 dicembre 2019 la procura generale della Cassazione chiede al Csm di fissare il processo. Il 19 giugno scorso si apre il processo davanti al collegio presieduto da David Ermini, relatore Davigo. Ecco l’incolpazione a carico di Giangiacomo, difeso da un ex togato del Csm, Vittorio Borraccetti, anche lui di Area: “In qualità di gip, in violazione dei doveri di imparzialità e correttezza, ometteva di astenersi ( ai sensi dell’articolo 36 ccp) in 12 procedimenti a lui affidati per la trattazione, nonostante in detti procedimenti gli imputati e/o indagati fossero difesi dall’avvocato Donata Malmusi ( designata quale difensore di fiducia e/o di ufficio) con la quale egli intratteneva una relazione sentimentale dagli inizi del 2011, giusta dichiarazione resa da quest’ultima nel processo penale ‘2420-2018’ del tribunale di Bologna e precisata in sede di istruzione disciplinare. In particolare l’avvocato Malmusi in quel processo riferiva: ‘Intanto, fino alla fine del 2014, inizio 2015 io le mie serate le passavo con il dottor Giangiacomo, al quale sono stata legata praticamente 4 anni, quindi non certo a fare uso di cocaina, come ho sentito dire. Il dottor Giangiacomo chiede il trasferimento a Vasto e se non erro lo ottiene agli inizi del 2015 e lì iniziano i nostri problemi, nel senso che il trasferimento era stato richiesto per poter stare insieme con una che fa diritto penale, 5 udienze al giorno, e dopo 4 anni di sofferenze, dopo aver vissuto un rapporto come dei ladri, purtroppo ci sono dei problemi. Si sbaglia, manda un messaggio indirizzato a me alla moglie, la moglie scopre tutto e io vivo qualche momento di delirio nel senso che crollano tutti i sacrifici che avevo fatto per quattro anni e questo rapporto non va come doveva andare…quindi io ho buttato quattro anni della mia vita e quindi capita…febbraio 2015 c’è una grossa discussione legato anche ad un altro fatto che vorrei evitare perché…il fatto che lui abbia tutelato a livello deontologico una persona mi ha fatto andare su tutte le furie, quindi io discuto pesantemente con lui non lo vedo non lo sento…omissis’”.
A settembre dell’anno scorso, quando Giangiacomo decide di rinunciare a diventare consigliere, motiva il suo gesto: “L’ho fatto per esclusivo senso di responsabilità istituzionale e rispetto nei confronti del Presidente della Repubblica, in considerazione della situazione di particolare eccezionalità venutasi a creare all’interno del Csm per fatti contestati in sede disciplinare ad alcuni ex componenti del Csm, del tutto estranei al fatto a me contestato nella stessa sede, che è molto risalente nel tempo e relativo a funzioni pregresse a quelle che oggi esercito”. Il giudice non manca di evidenziare che, se avesse voluto, avrebbe potuto ricoprire la carica di consigliere: “Ribadisco che la mia rinuncia è dovuta solo alla particolare eccezionalità della situazione in cui si trova l’attuale Csm e non per un automatismo, non previsto dalla legge e che sarebbe lesivo della autonomia e indipendenza dell’organo di governo della magistratura, tra una contestazione disciplinare per fatti estranei alla attività del Csm e l’impossibilità di rivestire l’incarico elettivo di componente del Csm, tanto che in passato ciò non ha costituito motivo di rinuncia o dimissioni da quell’incarico”. Per sostituire Criscuoli, dunque, il Csm è costretto a indire elezioni suppletive come per le toghe in quota pm ( al posto di Lepre e Spina, sono stati eletti a ottobre 2019 Antonio D’Amato e Nino Di Matteo) e a dicembre viene eletta Elisabetta Chinaglia, giudice di Area.