Andrea Carugati, l’Huffingtonpost 27/Nov/2014
Nelle ultime settimane la pioggerella si sta trasformando in acquazzone. C’era una volta il Prodi fuori dai radar, sempre all’estero, sempre pronto a schivare qualsiasi domanda sulla politica italiana. Era il Prof del dopo 101, quello che aveva deciso di chiudere definitivamente con la politica italiana e che non aveva rinnovato neppure la tessera del Pd. Nell’ultimo mese, e in particolare nei giorni delle regionali nella sua Emilia, i tg ricordavano invece quelli tra il 2005 e il 2008, con il faccione di Prodi in tutti gli schermi e il suo indimenticabile eloquio emiliano a lanciare stoccate in forma di sorrisi bonari.
Archiviate le regionali, con il boom dell’astensione proprio nella sua terra, il Prof è tutt’altro che tornato ai suoi studi. Anzi, continua a intervenire, ormai quotidianamente, sulla scena politica: prima per difendere l’Ulivo vilipeso, poi per ricordare a Giuliano Ferrara che il Cav di leader della sinistra ne avrà battuti molti, ma lui no. “Io ho vinto due volte, nel 1996 e ne 2006”, precisa con una nota di agenzia.
E così in tanti cominciano a domandarsi cosa abbia davvero in testa il Professore, che non lascia mai nulla al caso. Chi lo conosce bene osserva che questo interventismo “dimostra che al Colle davvero non ci vuole andare, altrimenti se ne starebbe zitto”. Non è un mistero infatti che i papabili veri preferiscono il low profile, soprattutto quando la data delle votazioni per il Quirinale si avvicina, come in questi giorni. Non per tutti è stato così, a ben guardare. Nell’estate del 2005, un grande vecchio del Pci-Pds-Ds non lesinò frustate ai titolari di allora della Ditta, Fassino e D’Alema, a proposito dei rapporti troppo confidenziali con i vertici di Unipol nei mesi della tentata scalata alla Bnl. “Hanno sottovalutato il rischio di comportamenti impropri, i partiti non devono tifare per alcun gruppo economico o finanziario…”.
Si trattava di Giorgio Napolitano, che pochi mesi dopo arrivò al Quirinale.
L’interventismo del Professore, dunque, potrebbe non impedirgli comunque di salire al Colle. Ma il profluvio di questi giorni nasce da altre ragioni, che riguardano il legame tra Prodi e il Pd, “che considera come suo figlio,” ricorda chi lo conosce bene. E quando il figlio sta male, al vecchio padre prudono le mani. E, nonostante si morda la lingua il più delle volte, ogni tanto Prodi non resiste alla tentazione della dichiarazione. Come il giorno dopo il flop delle regionali in Emilia. Mentre palazzo Chigi twittava la vittoria per 2 -0 e ridimensionava l’astensione a “problema secondario”, il prof citando un suo vecchio insegnante spiegava che “così ti fai il letto, così dormi”. E ribadiva che quella scarsa partecipazione a Bologna e dintorni era un “preoccupante segnale di malessere”. Un modo più forbito per dire “chi semina vento raccoglie tempesta”. Rivolto a tutti, compresi i vertici del Nazareno.
Fonti vicino a Prodi non nascondono quanto il prof non abbia gradito l’attacco durissimo di Renzi alla Cgil dal comizio al Paladozza di Bologna, negli ultimi giorni di campagna elettorale. Così come non gradisce la rottura dei ponti con la sinistra di Vendola e la trasformazione del Pd in qualcosa di diverso dal suo progetto originario. Non è un caso che Prodi si sia speso a difesa dell’Ulivo “cui ho dedicato la metà della mia vita” proprio mercoledì, nel giorno in cui Rosy Bindi denunciava dalle pagine del Corriere la rottura del filo rosso tra il pullman del 1995 e il Pd di Renzi. Il giro prodiano non ha affatto apprezzato le parole di Debora Serracchiani, che ha certificato come quello spirito sia ormai archeologia, e comunque non più una bussola per i nuovi inquilini del Nazareno. E in molti in questi giorni hanno sentito dire all’ex premier che “l’Ulivo nasceva per unire il centrosinistra, mentre oggi si rischia di dividere…”. Nonostante la volontà di “fare il nonno”, nei momenti chiave per il Pd Prodi c’è sempre stato. Anche quando, alle primarie che incoronarono Renzi, decise alla fine di partecipare per allontanare lo spettro dell’astensione, nonostante fossero passati pochi mesi dallo schiaffo dei 101.
Il professore dunque pronto a tornare come icona di un nuovo Ulivo alternativo a Renzi? In tanti ci sperano, a partire da Civati e Bindi. Ma non sarà così. Così come vengono giudicate lunari le ricostruzioni del Giornale che vede il Prof come regista dietro le fronde di D’Alema e Fitto, dentro Pd e Forza Italia. Prodi quando dice di aver lasciato l’impegno politico attivo in Italia è sincero. E non condivide il muro della minoranza dem contro il Jobs Act. Per l’ex premier l’intervento di Renzi è “non creerà né farà perdere posti di lavoro”. “In pratica, rispetto all’attuale legge Fornero cambierà pochissimo ma può servire come prezzo da pagare a Bruxelles per avere in cambio maggiore flessibilità”, è il ragionamento che gli sentono fare i suoi collaboratori.
In questo nuovo Pd, raccontano fonti vicino al professore, si vedono dei problemi strutturali, che rischiano di minare il bipolarismo: non tanto per la stretta collaborazione con Berlusconi sul dossier riforme, ma soprattutto per l’atteggiamento “troppo ostile” verso i sindacati. Senza dimenticare la nuova classe dirigente, che spesso nei salotti tv non si dimostra sufficientemente autorevole e si limita a ripetere a pappagallo il verbo renziano. Senza un adeguamento approfondimento delle tante e complesse questioni sul tavolo. Lui ha sempre spinto i giovani a “prendersi i loro spazi senza aspettare di essere cooptati”. Ma questo non può avvenire, sostengono prodiani doc, a discapito dell’autorevolezza, solo per una questione anagrafica.
Quanto ai rapporti tra Italia e Ue Prodi non considera i vertici della Ue dei burocrati ma nel merito il suo giudizio sul piano Juncker, sostenuto dal premier, è assai duro: “Mezza lumaca cammina più forte”. “Gli Stati Uniti sono usciti dalla crisi abbastanza in fretta perché il pubblico ha messo sul piatto 800 miliardi di dollari subito, ha salvato l’industria automobilistica e ha previsto sussidi alla ricerca”, ha spiegato nei giorni scorsi ai cooperatori bolognesi. “Il problema è grosso e per un problema grosso ci vuole un intervento grosso, proporzionato. Se l’Europa non esce dalla crisi non è per problemi strutturali, ma perché non fa la politica che altri hanno fatto per uscire dalla crisi. Un problema semplicemente politico”.
Una lettura molto distante da quella del governo, che sul piano Juncker ha scommesso molto. E su quella promessa di più investimenti e maggiore flessibilità ha investito molte delle fiches di questo primo anno di governo.
E il Quirinale? “Quell’impiccio non è nel mio futuro”, continua a ripetere il Professore. E a favore di questa opzione ci sarebbe anche la netta contrarietà della signora Flavia a lasciare nuovamente via Gerusalemme per una Capitale mai amata. Ma il fatto è che Prodi sembra essersi stufato di mordersi la lingua. E il boom dell’astensione in Emilia, 63% rimasti a casa, ha fatto saltare il tappo. “Così ti fai il letto, così dormi…”, ha mandato a dire. Renzi, dal canto suo, non ha mai interrotto i canali di comunicazione con Bologna. E se mai avesse voluto farlo, Prodi glielo sta sconsigliando. Del resto, per un premier che ha siglato il “Patto del Tortellino” con i leader socialisti europei, sarebbe un paradosso ignorare i consigli che arrivano da via Gerusalemme…