Nel solco della tradizione picaresca Il «teatro dell’assurdo» di Arroyo.

Una mostra in Francia per gli ottant’anni dell’artista spagnolo
Nel 1958, a 21 anni, Eduardo Arroyo (Madrid, 1937) lascia la Spagna franchista e raggiunge Parigi. Qui si lega soprattutto a Gilles Aillaud e a Klaus Michael Grüber. Pittore, scultore, scenografo, scrittore fiancheggia la pop art, riuscendo a manipolarla in maniera apparentemente semplice, ma in realtà costruita pezzo per pezzo, con il gusto del paradosso e di un umorismo che pesca anche nella mitologia e nella politica.
Arroyo comincia dipingendo. Come scultore, dà alla pittura una dimensione e una profondità plastica. Come scenografo la proietta su una quinta teatrale e la muta continuamente. Come scrittore, infine, racconta , rifacendosi in parte alla tradizione picaresca del suo Paese

Flash su società e Storia in senso lato, ma anche su arte e letteratura. Per un «teatro dell’assurdo» che, talvolta, può anche sembrare scontato. Certo, se Arroyo non avesse dietro una storia di tutto rispetto e certi lavori cominciasse a farli adesso, molti storcerebbero la bocca. Si veda l’antologica per i suoi 80 anni, allestita a Saint-Paul de Vence ( Nel rispetto delle tradizioni , Fondazione Maeght, sino al 19 novembre), il cui primo lavoro, Doppio ritratto di Boccanegra o il gioco dei 7 errori , risale al 1964 (Eduardo aveva 27 anni). Due toreri immersi in un’atmosfera drammatica: sangue e oro mentre dall’alto piovono garofani bianchi e rossi.

E che dire de La moglie del minatore Pérez Martinez, Costantina, detta Tina, rapata dalla polizia (1970)? Una icona, certamente: la donna porta orecchini costituiti da piccoli triangoli con i colori della bandiera della Spagna, un Paese che Arroyo vive con una vera e propria ossessione e che evoca con toni sempre drammatici (lo scrittore e diplomatico Ángel Ganivet, l’intellettuale José Maria Blanco White).

Il clima cambia negli ultimi lavori (2017), molti dei quali eseguiti appositamente per la mostra francese: personaggi come van Gogh, Hodler, Quiller-Couch, Joyce, Cervantes, Wilde si muovono su un palcoscenico mutevole. Volendo raccontare con parole ed immagini, Arroyo trova il suo coronamento nel teatro. Ricordate le sue scenografie di Milano (Piccolo Teatro), Brema (Opera), Parigi (Opera), Madrid (Teatro Español)?

Ma dove cerca, l’artista, i suoi personaggi di cui corrode la fisionomia, stravolge qualsiasi ottica, frantuma ogni particolare, creando una nuova e diversa dimensione? E dove, ballerini, scarpe, pesci, reti metalliche?

Talvolta sembra di vedere, tra vecchi copertoni di gomma e bidoni di benzina, un nero che mangia il suo cappello di paglia. Uno dei personaggi che fanno da contorno a La passeggiata di Buster Keaton di Federico García Lorca: «I suoi occhi infiniti e tristi come quelli d’una bestia appena nata sognano gigli, angeli e fasce di seta. I suoi occhi che sono come il fondo d’un bicchiere. I suoi occhi di bambino sciocco (…). Da lontano si scorge Filadelfia. Gli abitanti di questa città già sanno che il vecchio poema della macchina Singer può circolare fra le grandi rose delle serre. (…) Le ragazze di buona famiglia della città suonano il piano come se montassero in bicicletta». Da una strada laterale arriva Eduardo Arroyo. S’impossessa degli occhi del bambino sciocco e li incastona ai bordi della macchina Singer; quindi carica sulla bicicletta il pianoforte, mentre le ragazze di buona famiglia continuano, ossessivamente, a battere sui tasti bianconeri.

Arroyo, s’è già detto, è uno scrittore di favole moderne che si muove in ambito urbano. Una sorta di Italo Calvino iberico, insomma. Passione da un lato, ironia dall’altro. Su questi due versanti, l’artista muove i suoi passi, manipola le immagini dei mass media, coglie i ritmi del quotidiano, lasciandosi avviluppare nel suo vortice. Il risultato? Una serie di maschere coinvolgenti che ricordano Panama Al Brown, da Arroyo considerato un eroe contemporaneo «nel senso omerico del termine, nel senso joyciano».

Il celebre pugile, a 35 anni campione del mondo dei pesi gallo, aveva finito i suoi giorni in miseria e in preda alla droga. Una prima volta, quando viveva a Parigi, Panama Brown era stato salvato dal suo amante, l’altrettanto celebre Jean Cocteau, che lo aveva convinto a farsi disintossicare e a tornare sul ring. Rientrato in America, aveva ripreso a drogarsi: l’inizio della fine.

Se oggi, a Saint-Paul de Vence, capitate dalle parti del 623 chemin des Gardettes e vedete un uomo con giacca e cravatta, cappello e occhiali rotondi su un volto coperto da una maschera nera che lascia spazio agli occhi, appunto, e alla bocca, non abbiate la minima reazione. Guardatelo di sottecchi e vedrete che non ci resterà male. Il fatto è che questo Fantomas moderno è convinto di passare inosservato. È evidente che sotto le sue vesti si cela Eduardo Arroyo. Fingete di non accorgervene. Lo farete felice.

sgrasso@corriere.it

Corriere della Sera –