Il Festival “Futuro presente”, svoltosi a Rovereto dal 14 al 23 novembre, ha scelto di puntare i riflettori sul tema della “mobile art”, cioè della ricerca fotografica che si avvale dei nuovi dispositivi mobili. Un convegno e un premio per riflettere sul rapporto tra fotografia, arte e nuove tecnologie.
Il dibattito sulla “Mobile Art” nasce nel 2009 quando il mercato è invaso dall’iPhone 3 e dalle sue alte prestazioni fotografiche. La sua terra d’origine sono gli Stati Uniti, ma nel 2011 il movimento arriva anche in Italia e Roberto Murgia assieme a Adriano Mauri organizzano in Sardegna “Hipstamatic Sardinia”, che attira sull’isola appassionati di tutto il mondo. Al Paris Photo e al Festival della Fotografia di Berlino si possono acquistare opere realizzate con dispositivi mobili, a Montmatre c’è già una galleria dedicata e nel 2012 al Mobile Los Angeles Art Festival alcune foto sono state quotate più di mille dollari. Sono fotografie scattate con i cellulari che, come afferma provocatoriamente Luca Chisté (sociologo e fotografo) possono “essere ammesse al mondo dell’arte se, oltre ad essere sapientemente lavorate con app del fotoritocco, sono espressione di un talento. Le riprese con gli smartphone privano il fotografo della preoccupazione della tecnica e gli permettono di concentrarsi esclusivamente sulla ripresa”. Già, ma si sa che quando la tecnica determina l’artisticità il problema diventa epistemologico. Per Gianluigi Colin, art director di La Lettura, intervenuto a Rovereto, “ognuno di noi ha la possibilità di modificare il mondo con il proprio sguardo. L’aspetto fondamentale è la consapevolezza. Lo strumento non conta”. Come non contano Photoshop e affini: se manca l’idea la tecnica prevale sul concetto e la duplicazione è l’anticamera del feticcio. “La macchina fotografica è la grotta di Platone, lo sguardo sul mondo”, ha detto Colin nel dibattito interno al Festival, “conta la coscienza, la sensibilità e l’intelligenza di chi fotografa sapendo che quell’immagine diventa qualcosa di diverso destinato a una galleria, deputato al concetto di arte. Dove c’è buona fede c’è un lampo di poesia”.
La differenza la fa l’assioma di Cartier-Bresson: una bella fotografia è quando si “metteno sullo stesso asse gli occhi, la testa e il cuore”. Colui che coglie e scatta è artista? Intuizione e tecnologia non bastano. Conoscenza e consapevolezza del ruolo del mezzo fanno la differenza. Consci che il prodotto ha valore per il suo ruolo comunicativo, ha spiegato Michele Smargiassi, autore del blog Fotocrazia di Repubblica.it: “il mondo dell’arte fatica a tenere il passo con il terremoto nella cultura visuale di massa. Stiamo assistendo ad una rivoluzione della condivisione”. Non è la fotografia digitale la svolta, dunque, ma la condivisione. Senza la Rete le foto continuerebbero ad avere la funzione delle precedenti. Ciò che fa la differenza oggi è la condivisione in assenza dell’autore. Foto uscite dal domestico in un flusso che si disperde, non più identità, non più la necessità di rimanere o di depositarsi. “Non sono oggetti né opere” dice Smargiassi, “non si può più parlare d’autorialità, perché tutti parliamo con le immagini. Giudicarle con intenzioni estetiche è una stupidaggine”.
Nasce un’antropologia nuova, che si è tuttavia sottoposta al giudizio di una giuria. Al Mart, per il concorso di Futuro Presente (organizzato da ISMA e Incontri Internazionali di Rovereto) sono giunte oltre 900 opere: il tema era Oltre il conflitto e ha vinto l’artista turca Aylin Argun. Perché emerga dal flusso, perché la democratizzazione abbia successo e non diventi l’ennesima merce nelle fornaci dei social network occorre intenzionalità, biografia, percorso. Un ritorno al sistema dell’arte, senza giudicare il nuovo con le forme del vecchio.
Simone Azzoni