C’è la spiritualità. E ci sono le religioni, che ingabbiano la libera ricerca spirituale in immagini, dogmi, precetti e strutture. Pensare e parlare di Dio, oltrepassando i recinti delle religioni, che hanno costruito una sorta di oligopolio del sacro, è l’obiettivo della collana «Oltre le religioni», avviata nel 2016 dall’editore Gabrielli, in collaborazione con l’agenzia di informazioni Adista.
QUATTRO I VOLUMI pubblicati finora, con contributi di teologi, filosofi e studiosi di varie discipline: Oltre le religioni. Una nuova epoca per la spiritualità umana (2016); Il cosmo come rivelazione. Una nuova storia sacra per l’umanità (2018); Una spiritualità oltre il mito. Dal frutto proibito alla rivoluzione della conoscenza (2019). Il quarto, appena uscito – Oltre Dio. In ascolto del mistero senza nome, a cura di Claudia Fanti e José María Vigil (pp. 256, euro 19) -, affronta il nodo centrale del nuovo paradigma post-religionale, il post-teismo, ovvero il «superamento dell’immagine teistica di Dio, come un essere dal potere soprannaturale e dai tratti antropomorfi e patriarcali, onnipotente e onnisciente, creatore, signore e giudice, che dimora al di fuori di questo mondo imperfetto e passeggero ed esercita il suo governo» sugli esseri umani, «intervenendo miracolosamente nel dominio della natura».
Il tema, che apparentemente potrebbe sembrare contraddittorio – cercare il divino, facendo a meno dell’immagine di Dio -, è denso e complesso e si inoltra in un terreno ancora poco esplorato.
SE INFATTI il superamento dell’antropomorfizzazione di Dio è un’acquisizione già presente nella tradizione mistica e anche in alcuni settori più avanzati della teologia critica e progressista, invece la rinuncia all’immagine di un Dio trascendente, provvidente e personale è decisamente più difficile da raggiungere. La maggioranza dei teologi – scrive in uno dei contributi José Arregi, teologo basco «eretico», a cui è stato proibito di insegnare nelle facoltà teologiche e che ha lasciato l’ordine francescano e il sacerdozio – continua «a considerare la qualità personale di Dio come essenziale e irrinunciabile, accusando non di rado i non teisti di cedere allo “gnosticismo di moda” e di ridurre Dio a una mera energia cosmica o a una vaga realtà impersonale e panteista».
La morte del Dio teista, tuttavia, non comporta automaticamente lo scivolamento in una sorta di spiritualismo new age, né il passaggio all’ateismo, ma l’avvio di «una ricerca spirituale svincolata da ogni pretesa di verità e da ogni appartenenza che non sia quella alla nostra casa comune e alla nostra comune umanità», si legge nell’introduzione di Fanti.
UNA RICERCA che, superando reciproche diffidenze e sospetti, potrebbe essere condotta insieme da credenti di diverse fedi e da non credenti, verso l’orizzonte comune di una spiritualità universale depurata dal teismo e dai dogmi delle religioni. Considerando anche quello che affermava il fisico Max Planck: neppure la scienza può sciogliere «il mistero ultimo della natura», perché «in ultima istanza noi stessi siamo parte del mistero che cerchiamo di risolvere».