di Giuseppe Sarcina
D’accordo, prendiamo per buona la tesi che la primavera araba cominciata nel 2011 in Tunisia sia fallita perché ha portato al disastro della Siria e alla nascita dello Stato islamico. Ma questo non significa affatto che sia cominciata una «primavera jihadista» destinata a conquistare il Medio Oriente e a destabilizzare l’Europa.
Va bene, diciamo che si è rivelata una catastrofica illusione l’idea di poter esportare la democrazia con le armi dei marines. Ma ciò non vuol dire che, invece, sarà più semplice imporre la sharia con i kalashnikov dei terroristi. La cadenza spaventosa degli attacchi, mercoledì al museo del Bardo a Tunisi, ieri alle moschee di Sana’a nello Yemen, sta alimentando una pericolosa deriva fatalistica. Come se fosse solo questione di tempo: prima o poi gran parte dell’Africa e dell’Asia saranno sommerse dalle bandiere nere dell’Isis. Dopodiché toccherà a noi europei.
Eppure ci sono diversi fatti importanti che dimostrano quanto tutto ciò non sia per nulla ineluttabile.
Due esempi di questi giorni. Primo: la Tunisia ha reagito all’attentato da Paese seriamente incamminato sulla strada della democrazia. È vero, i partiti non sono riusciti, almeno finora, a organizzare una manifestazione corale, senza veti reciproci. Tuttavia una larga parte dell’opinione pubblica, delle organizzazioni sociali, del ceto politico si è riversata nelle strade, ancora ieri, ispirandosi a quella mobilitazione di popolo che tutto il mondo ha ammirato a Parigi. Il museo del Bardo come la redazione di Charlie Hebdo . Non ci sono state spinte autoritarie, i militanti della formazione islamica Ennahda sono scesi in piazza per primi, poche ore dopo la strage.
Secondo: ieri a Rabat, in Marocco, sono ripresi i colloqui tra le due fazioni che si contendono il controllo della Libia. Le delegazioni sono scorbutiche, cavillose. È come se negoziassero con i fucili sul tavolo. Però hanno comunque trovato il modo di parlarsi, grazie al raccordo dell’inviato Onu, Bernardino León. Non è escluso che domani si possa arrivare a un’intesa sulla formazione di un governo unitario: premessa fondamentale per pianificare un’offensiva contro gli jihadisti infiltrati in Libia.
L’Unione Europea sembra aver colto questi segnali, almeno a giudicare dalle conclusioni raggiunte ieri a Bruxelles dal Consiglio dei capi di Stato e di governo. Nelle discussioni è stato utilizzato un verbo chiave: «coinvolgere». Perché «coinvolgere» significa richiamare gli interlocutori, che siano Tunisia, Egitto o la nuova Libia in costruzione, alle proprie responsabilità nella lotta contro le cellule terroristiche e il traffico d’armi. Se le cose andranno così, diventerà possibile raccontare che la terrificante «primavera jihadista» cominciò a sfiorire nel marzo 2015, a Tunisi.