di Lucrezia Reichlin
Oggi si vota in Grecia: un referendum equivoco, a cui si è arrivati al termine di un negoziato partito male, in cui entrambe le parti hanno giocato con il fuoco fino, purtroppo, ad accenderlo.
Io spero che i greci votino Sì. Nonostante l’ambiguo messaggio del loro governo, il sì non può significare l’adesione ad un programma che, di fatto, è morto. Il Sì — se prevarrà — deve essere letto come un messaggio a favore dell’euro e dell’Unione Europea (Ue).
Solo dopo la consultazione, se il risultato sarà favorevole, la discussione — quella vera — potrà cominciare. Di fatto si aprirà un nuovo negoziato. L’Europa deve riconoscerlo e dimostrare di essere all’altezza della sua responsabilità storica rispondendo in modo costruttivo.
Questo significa cambiare il focus della trattativa. Non ha senso concentrarsi sul gap fiscale e discutere di aumenti di tasse o diminuzioni delle pensioni in un Paese in cui l’economia è al collasso e la società civile in disintegrazione. Un terzo programma di assistenza economica e finanziaria va costruito su nuovi criteri che partano dalla consapevolezza che i problemi dell’economia greca sono strutturali. Bisogna focalizzarsi sull’attuazione di riforme che aggrediscano la profonda inefficienza della pubblica amministrazione, del settore giudiziario, la «cartellizzazione» del mercato dei prodotti e dei servizi. La Grecia presenta tutti i sintomi di uno Stato in fallimento. Per questo è urgente fornire un’assistenza diretta per sostenere la modernizzazione della macchina dello Stato. Il nuovo programma deve aiutare a creare un contesto in cui l’attività economica sia facilitata dallo Stato e non, come oggi, ostacolata.
Ma non facciamoci illusioni. Adottare questo punto di vista richiede un cambiamento drammatico di focus e può essere solo il frutto di una decisione politica da parte dei Paesi Ue sulla questione greca. Per l’Europa è importante che la Grecia rimanga nell’Unione: non tanto per ragioni di stabilità finanziaria, ma soprattutto per l’ambizione più ampia del suo progetto di integrazione che può riuscire solo se basato sull’idea che farne parte è garanzia di progresso per tutti. Il progetto non può e non deve essere quello di una «Unione dei più forti», ma deve poter facilitare un processo di convergenza di cui l’Ue e la moneta unica sono il veicolo, non l’ostacolo.
Questa è la ragione per cui la Ue deve appropriarsi del negoziato futuro e emanciparsi da questa strana partnership con il Fondo monetario internazionale (Fmi). Quella partnership, giustificata nel 2010 e nel 2012 quando la questione essenziale era la stabilità finanziaria dell’eurozona, oggi non è più centrale. Come ha affermato lo stesso Fmi, la responsabilità ricade ora interamente sugli europei.
Io penso che sia inoltre essenziale che il nuovo programma sia il frutto di una collaborazione tra i greci e l’Ue. Le organizzazioni internazionali — Fmi, Banca Mondiale, la Banca Europea di Investimento e l’Ocse — devono fornire assistenza tecnica ma sono i principali stakeholders — il governo e i rappresentanti della società civile greca — a dover prendere la guida delle trattative per un nuovo programma. Il loro ruolo è importante per garantirne la legittimità.
Un nuovo negoziato deve partire dalla constatazione che qualche forma di alleggerimento del debito sarà necessario, come del resto è ormai apertamente ammesso dal Fondo monetario. Ma non bisogna sottovalutare il fatto che — data la retorica su questo punto, gli errori del passato e la profonda mancanza di fiducia tra le parti — questo non può essere concesso senza condizioni. Il governo greco — qualsiasi esso sia dopo il referendum — deve fare il primo passo e dimostrare la volontà politica e la capacità di attuare riforme concrete. Non bisogna aspettarsi che la modernizzazione dello Stato greco si realizzi in pochi anni, ma i partner europei devono essere rassicurati sulla volontà da parte del governo di cominciare con convinzione e aggressività un processo che abbia una logica e tempi da monitorare.
Prima di cominciare ogni discussione bisogna inoltre organizzare aiuti umanitari perché il sistema di sostegno fornito dallo Stato è al collasso.
Il mio messaggio è per l’Eurogruppo e per l’Italia che ne fa parte. Un sì non deve essere interpretato come l’adesione al secondo programma, ormai defunto. Abbiamo bisogno di un nuovo inizio, che combini realismo e speranza. Il programma su cui si vota domenica non ha né l’una né l’altra caratteristica. L’Europa può fare molto, ma molto meglio. Sulla capacità di affrontare la crisi greca si gioca il suo futuro.