di Emanuele Severino
Al centro dei fenomeni del nostro tempo c’è la fame. Fortemente cresciuta rispetto al passato: sia per il modo in cui viene distribuita la ricchezza prodotta, sia per la crescita smisurata della popolazione mon-diale. Inevitabile, quindi, la pressione degli affamati su chi riesce a sopravvivere nonostante le preoccupazioni causate dal Pil. Inevitabile anche, in questa situazione, che si facciano avanti le forze che progettano di sfruttare a proprio vantaggio la volontà degli affamati di godere anch’essi dei beni esistenti sulla Terra.
Ieri la maggiore di queste forze era l’Unione Sovietica. Con la sua fine, quel progetto è stato ereditato dall’Islam — che vede nel capitalismo e nella cultura dell’Occidente il male assoluto. E la condizione dell’Occidente è peggiorata, perché, nonostante e anzi proprio in virtù della guerra fredda e della tensione nucleare, l’Urss ha esercitato una funzione di controllo e di contenimento delle spinte antioccidentali dei Paesi musulmani. Era costretta a svolgere questo compito, paradossalmente vantaggioso per l’Occidente, perché c’era di mezzo il pericolo di rompere l’equilibrio tra le due superpotenze, giungendo a quel suicidio atomico al quale né l’una né l’altra ha mai inteso arrivare.
Con la fine dell’Urss son venuti meno anche il controllo e contenimento di cui si è detto. Quelli operati dal mondo islamico nei confronti delle proprie forme estremistiche sono estremamente meno efficaci, sia perché il mondo islamico (già di per sé ostile all’Occidente) è frammentato, sia perché non esiste una tensione tra esso e l’Occidente analoga a quella tra Usa e Urss: ancora non esiste il pericolo che l’estremismo, in questo caso islamico, abbia a rompere un equilibrio di potenza, in questo caso tra Islam e Occidente, determinando così la catastrofe nucleare.
La fame umana (il dolore, la morte) esiste all’interno di una cultura da cui è interpretata. E le interpretazioni (cristiana, islamica, capitalistica, marxista, ecc.) si combattono. Anche perché hanno avuto una storia diversa. Nel Medioevo la cultura cristiana e quella islamica crescono entrambe nel terreno della filosofia greca. Poi il cristianesimo, a differenza dell’Islam, si imbatte nella cultura moderna, che lo mette radicalmente in questione e con esso finisce col lasciarsi alle spalle l’intera tradizione dell’Occidente. L’Islam ignora l’atteggiamento critico in cui la modernità consiste. In quanto critica del proprio passato l’Occidente è debole; in quanto fede nella propria tradizione l’Islam è forte (anche se la «primavera araba» può far pensare a un primo, incerto passo dei Paesi arabi verso la modernità, quindi verso l’indebolimento; un passo forse già fallito).
Tuttavia l’abbandono della tradizione ha consentito in Occidente lo sviluppo della scienza e della tecnica. E della tecnica guidata dalla scienza moderna intendono servirsi tutte le forze oggi ancora in campo. Anche il mondo islamico intende servirsene. La tecnica è il mezzo più potente. Il programma nucleare iraniano è sintomatico. Nonostante la sua efferatezza e il numero delle vittime, il terrorismo islamico ha ancora un carattere artigianale.
Per diventare una minaccia alle strutture del mondo occidentale deve acquistare un carattere tecnologico-industriale. E perché ciò accada occorre uno Stato. Ma se per realizzare quella minaccia uno Stato terrorista islamico è indispensabile, la sua esistenza è anche controproducente, un pericolo per la propria sopravvivenza. Infatti esso sarebbe ben visibile. La sua distruzione incontrerebbe meno difficoltà tecniche che non l’individuazione e distruzione della nebulosa costituita dalle cellule terroristiche sparse per il mondo. Si preannuncia un tempo in cui la volontà del terrorismo di uscire dallo stadio artigianale, impadronendosi delle opportunità offerte dalla tecnica, sarà in conflitto con la consapevolezza del pericolo a cui si va incontro con la costruzione di uno Stato terrorista islamico, inevitabilmente richiesto da quella volontà.
D’altra parte, se l’Islam è già presente in Europa, in America, in Russia, una conquista islamica dell’Occidente e della Russia è impossibile. Probabile, sì, un consistente aumento degli islamici immigrati, rispetto agli autoctoni. Ma la difficoltà estrema che gli islamici si adeguino alla cultura occidentale tende a svanire nella misura in cui questa cultura si presenta loro non come ideologia cristiana o capitalistica o democratica, ma come tecnica . La loro volontà di dominio non può prescindere dalla potenza che è conferita dall’uso razionale della tecnica. Ma la legge sulla quale sono tornato più volte anche su queste colonne è il rovesciamento per il quale la tecnica, da mezzo per realizzare gli scopi ideologici delle forze che intendono servirsi di essa, è destinata a diventare, essa, il loro scopo. La presenza dell’Islam nel mondo occidentale e in Russia sta appunto diventando una di tali forze. Che sono tra di loro in conflitto.
Quindi tra esse prevarrà quella che, rinunciando al proprio scopo ideologico, assumerà come scopo quello che la tecnica possiede per se stessa: l’aumento indefinito della capacità di realizzare scopi.
La tecnica è la punta di diamante della cultura occidentale. Rimane tale qualunque sia la razza umana che essa incorpora in sé. Se la razza bianca illanguidisce è perché non è più o non è ancora capace di assumere come scopo l’aumento indefinito della potenza. Se nel mondo occidentale prevarranno le razze che oggi si fanno guidare dall’Islam, sarà perché esse avranno quella capacità. Ma nel momento stesso in cui si saranno mostrate così capaci, non saranno più guidate dall’Islam ma dalla razionalità tecnologica, che esige l’abbandono della tradizione, di ogni tradizione, quella islamica compresa.
Vincente, da ultimo, è la struttura del mondo occidentale , qualunque sia la razza umana che essa incorpora e qualunque sia l’ideologia da cui tale razza è guidata (Islam, capitalismo, comunismo, cristia-nesimo, democrazia, ecc.). E nella tecnica confluisce e si raccoglie l’intera storia di quella struttura. Per quanto sembri occupare la scena del mondo, lo scontro tra Islam, da una parte, e cristianesimo, capitalismo, democrazia dall’altra è uno scontro di retroguardia. Il nemico autentico e vincente sia dell’Islam sia di quei suoi nemici visibili è la tecnica, di cui sia l’Islam sia quei suoi nemici intendono servirsi per prevalere nello scontro di retroguardia.
Dall’Islam a Prometeo (Rizzoli, 2003) è un saggio in cui riprendo temi che vado sviluppando da un trentennio e che qui sopra ho richiamato. A proposito del trasferimento della conflittualità planetaria dall’asse Est-Ovest a quello Nord-Sud vi si dice che «le potenzialità tecnologiche di cui oggi dispongono le società avanzate saranno in grado di risolvere i problemi dell’intera razza umana. Ma si tratta di un evento che potrà verificarsi a lungo termine. I problemi e i pericoli riguardano il breve e medio termine, il tempo che intercorre tra la situazione attuale e l’esplicazione su scala planetaria delle possibilità salvifiche della tecnica. Ci si illude se si pensa che la relativa composizione del conflitto Est-Ovest abbia a inaugurare un lungo periodo di pace. Essa inaugura una nuova forma di guerra». Che tuttavia sta andando verso la pax tecnica (verso il luogo, peraltro, in cui si è ben lontani dall’aver risolto tutti i problemi, ma in cui tutti i nodi della storia dell’Occidente vengono al pettine).