LO SPEZZATINO TARGATO MIBACT.

 

Com’è possibile che la “chiesa dei matrimoni” (uno era previsto per domani, si ricorda, fra molti brividi), senza dare segnali di allarme, rimanga di colpo senza tetto, senza soffitto? Invece è possibile in questo Paese che sembra aver dimenticato l’arte e la pratica della manutenzione costante, del monitoraggio più attento consentito oggi da tecnologie neppure stratosferiche.
Quindi una nuova strage schivata per la buona sorte, per il fatto che a San Giuseppe dei Falegnami il disastro è avvenuto di giovedì anziché di sabato. Ma si può continuare così? La Chiesa viene eretta a fine ‘500 dalla corporazione dei falegnami su un iniziale progetto di Giacomo Della Porta al quale subentra Giovanni Battista Montano (autore anche del sontuoso soffitto a cassettoni al momento ridotto in pezzi) sopra l’antichissimo Carcere Tulliano.
In origine una cisterna d’acqua (tullus significa polla), trasformata in prigione da Anco Marzio. Nel Carcere Mamertino vengono strangolati i seguaci dei Gracchi e più tardi i complici di Catilina, Giugurta re dei Numidi viene lasciato morire di fame e vi è rinchiuso l’apostolo Pietro.
Quindi una struttura architettonica a più piani, remota, delicata, da monitorare con la massima attenzione. Chi ne è il proprietario? Il Vicariato.
Sfortunatamente viene da dire, perché oltre 70 chiese romane, fra maggiori e minori, appartengono dopo il 1870 allo Stato che ne finanzia la manutenzione ordinaria e straordinaria attraverso il Viminale (Fondo Edifici di Culto) in maniera sobria ma, quanto meno, sufficiente. Non così il Vicariato evidentemente. Quindi, in questo caso, prendersela genericamente con lo Stato non funziona. Anche se bisogna dire che, nel vasto ambito statale, le cose funzionavano molto meglio quando la competenza era tutta della Soprintendenza speciale.
Le cose si sono assurdamente complicate con l’entrata in vigore della riforma (o deforma) Franceschini che ha fatto di quella efficace unicità un autentico “spezzatino” creando assurdi confini fra area e area antica. Ribadito che la competenza sulla manutenzione di San Giuseppe dei Falegnami spetta al suo proprietario,cioè al Vicariato, va rilevato che via Clivio Argentario, dove essa sorge, fa parte, sembra, del Parco Archeologico del Colosseo. Parco che ha alzato nel cuore dell’Urbs clamorose barriere, non si sa perché (o forse lo si sa benissimo visto che venne approvato, quasi come fuorisacco, in sede di legge di stabilità, su ripetuta istanza di un gruppo di deputati Pd), scompaginandone e complicandone la tutela prima meglio garantita. Parco Archeologico del Colosseo che fruisce ovviamente dei formidabili incassi del “totem” dell’Anfiteatro Flavio accozzando insieme Domus Aurea (Nerone, quando il Colosseo era un lago), Colosseo (Vespasiano), Palatino (la parte più antica dell’Urbe) e Fori. Un pasticcio senza ratio di sorta. Coi risultati funzionali che si cominciano a toccare con mano, rovinosamente. Ministro Bonisoli, quando vi si porrà sensatamente rimedio? Presto.
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