La moda è il principale agente uniformante delle società umane e risponde a una sola legge, la sua, dinanzi alla quale altre considerazioni cessano di avere peso. Come un serpente, la moda cambia pelle a intervalli grosso modo regolari, ma la logica di tale processo è assai oscura per quanto concerne gli esseri umani, laddove nel caso del rettile essa risponde a precise meccaniche biologiche. Nel corso degli anni, in Italia e altrove, la dipendenza dalla moda ha dato vita a veri e propri obbrobri: come dimenticare le scarpe alte di una nota marca (chiedere ai The Pills), i pantaloni con il risvolto, i jeans strappati o anche il bisogno di scoprire l’ombelico.
Tuttavia, nell’ultima decade, la società italiana si è dovuta confrontare con sfide vieppiù non semplici, tanto che stare al passo con la moda avrebbe imposto sacrifici – anche e soprattutto finanziari – parecchio gravosi per un popolo che lamenta costantemente una perdurante diseguaglianza economica e una crescente povertà. Eppure, i profeti della moda, questi sacerdoti del garbo e del buon gusto, tra i quali primeggiano gli adolescenti delle classi agiate, hanno risposto eroicamente alla sfida, anzi, si può addirittura parlare della sopravvenienza di un nuovo tipo antropologico: lo smart-citizen (la dicitura straniera è obbligata, trattandosi di scarto industriale dell’elevatissima cultura anglosassone).
Chi è lo smart-citizen? A parere di chi scrive egli è un pleonasmo dei nostri tempi, ma è bene specificare. Costui si vanta di possedere un cellulare di ultima generazione, anche se sfortunatamente la tecnologia del suo smartphone non va di pari passo con un avanzamento delle sue doti intellettive e delle sue conoscenze. Dispone del modello più recente di cuffie wireless, grazie alle quali isolarsi – come se ce ne fosse bisogno – pressoché completamente dai suoi simili. Ancora: questo cittadino 2.0 non può accontentarsi dei mezzi di locomozione usati dai più, ma necessita di uno strumento che lo differenzi dal comune volgo. Il monopattino elettrico risponde a questa esigenza e infatti, con esso, lo smart-citizen si muove leggiadro, evitando sia il cripto-fascismo dell’italiano medio (automobile, motorino), sia il fanatismo fucsia delle élites (aereo, yatch), scansando abilmente qualsivoglia zavorra ideologica.
Attenzione però: la trasformazione non può dirsi compiuta, poiché l’immersione negli ultimi ritrovati hi-tech non è sufficiente, soprattutto per il cosiddetto sesso debole, cioè quello maschile. Difatti, l’esposizione alla sciagura del politicamente corretto, combinata con l’azione spersonalizzante e uniformatrice della moda globalizzata, ha imposto che il “latino maschio alfa italiano” fosse meno latino, meno maschio e meno alfa. In dettaglio: tradizionalmente, l’inseguimento di certi canoni estetici è stato appannaggio delle donne; lentamente, gli uomini hanno preso a imitarne i comportamenti, dedicando sempre maggior cura alla propria immagine. Lo smart-citizen si è spinto oltre, raggiungendo picchi sempre più elevati: via tutti i peli e le sopracciglia superflue (la barba no, “fa uomo”) poiché potrebbero finire nel monopattino. Avanti con gli orecchini, che mettono in risalto le cuffiette all’ultimo grido. Imperativo il fisico scultoreo – a volte anche un leggero maquillage – che garantisce selfie impeccabili, così da soddisfare la propria autostima, che oggi si basa giustamente sul numero di “likes”.
De gustibus
Si potrebbe avere l’impressione che quanto affermato sia un grido d’accusa contro il “diverso”, ma in effetti è esattamente il contrario. Il problema non è accettare o meno la diversità, ma interrogarsi sulla natura delle scelte individuali per capire se esse ricalchino una reale preferenza, oppure provengano da un semplice istinto di gregge. In altri termini, esiste la concreta possibilità (più correttamente la certezza) che il sociologo tedesco Ferdinand Tӧnnies, uno dei tanti ad aver affrontato l’argomento, avesse visto giusto affermando che lo stile di vita, i riferimenti ideali, le preferenze di consumo, la routine, perfino gli hobby e in un certo qual senso il comportamento umano possono essere (e lo sono) plasmati dall’azione onnipervasiva dei media. Le fonti di informazione presentano al pubblico beni materiali, come le automobili, o immateriali, come l’atteggiamento giusto, le idee corrette e quelle sbagliate, influenzando pesantemente l’immaginario collettivo.
Grazie all’operato dei media, le masse sanno esattamente chi sono o cosa aspirano a essere: in questo modo gli individui conoscono, prima di averli sviluppati, i loro gusti, indirizzati verso modelli stereotipati e venduti come pubblicità. Se le preferenze individuali non sono il frutto dell’esperienza, di un’attenta analisi di sé stessi, ne deriva che un uomo non può conoscersi appieno e sarà incline a lasciarsi guidare da ciò che altri hanno scelto per lui.
Si provi a chiedere a un apostolo della moda perché acquista quel particolare aggeggio tecnologico, vestito, paio di scarpe, o anche perché il sabato sera ci si debba chiudere in discoteca o perché si festeggia, in Italia, Halloween. La risposta, sepolta sotto una coltre marcescente e maleodorante di assenza di pensiero critico, protetta da sorrisetti fintamente sicuri quanto strafottenti, è una sola: «non lo so». Perché è necessario essere abbronzati anche d’inverno? Perché vestirsi da scarafaggi va bene, a patto che lo facciano tutti? Perché le ragazze abbienti estorcono ai genitori l’acquisto di una Fiat 500 o il denaro per una mastoplastica additiva una volta compiuti 18 anni? Perché è necessario bere alcool quando si esce o visitare quel museo del nulla che è Starbucks, se presente in città? Chi dice che una donna dalla vita stretta o un maschio che si sottopone allo “strappo della cera” siano dotati di sex-appeal?
E ancora, chi dice che sostenere il globalismo, i partiti di sinistra, Che Guevara e Obama aggiunga lustro alla persona? Perché associare, con la convinzione propria degli stolti, l’antifascismo e l’ambientalismo? Ma soprattutto, perché etichettare i nostri simili sulla base del loro amore per i cani o per i gatti (chiedere all’allegra compagnia di How I met your mother)?
Questo discorso, un po’ bizantino, può sicuramente confondere, ma evidenzia un tratto distintivo della società contemporanea: gran parte dei nostri gusti sono manipolati dalla moda, dal consumismo, dalla pubblicità onnipresente. Di conseguenza, l’essere umano perde molta della sua unicità e del suo originale pensiero. Similmente a Morpheus (avete visto il film Matrix, vero?) che svela a Neo la reale funzione dell’uomo per le macchine, cioè quella di fonte energetica o “batteria”, si potrebbe concludere che il duo capitalismo-globalismo ci vuole trasformati nel loro combustibile, affibbiandoci il ruolo di agenti inconsapevoli della sua tirannia.