L’ipotesi di una valuta «parallela» e lo spettro di nuove elezioni.

hsGetImage

Il vertice europeo di Riga della settimana scorsa ha tolto dal dramma della crisi greca l’idea che Angela Merkel potesse fare l’annuncio a sorpresa. Il premier ellenico Alexis Tsipras ha dovuto constatare che la cancelliera non smentirà 18 ministri delle Finanze dell’eurozona, il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca centrale europea (Bce) con una semplice mossa. Non lo può fare. Caduta questa speranza del governo greco, le scelte spettano ora ad Atene, la quale da una parte ha annunciato che non potrà pagare le rate del Fmi in scadenza a giugno (ma forse sì), dall’altra ha dato mandato a Tsipras di raggiungere un accordo con i creditori.
Il passaggio è cruciale e l’Europa deve essere pronta a ogni eventualità. Il guaio è che non può fare molto. Cedere alle richieste del partito di Syriza è fuori discussione: ancora di più dopo la vittoria di Podemos (anch’esso di sinistra radicale) nelle elezioni locali di domenica in Spagna. Se si creasse l’impressione che Syriza ha avuto la meglio nella trattativa con il resto dell’eurozona, le chance di Podemos di conquistare il governo alle elezioni generali il prossimo dicembre si moltiplicherebbero: con Madrid che avanza richieste simili a quelle di Atene — l’abbandono della politica seguita dallo scoppio della crisi greca cinque anni fa — l’esistenza della moneta unica sarebbe a rischio. Se Tsipras non accetterà alcune proposte dei creditori, dunque, all’Europa non resterà che prepararsi al non pagamento di una rata di debito da parte di Atene.
La preparazione è in atto, ma l’agibilità è scarsa. Se il non pagamento riguarderà, come è probabile, una obbligazione con il Fmi (sarebbe una prima volta per un Paese sviluppato), la dichiarazione ufficiale di default non dovrebbe essere immediata: il Fondo prevede un «periodo di grazia» nel quale il debitore può correre ai ripari. La crisi, però, esploderebbe subito, i greci correrebbero agli sportelli bancari nel timore della Grexit, che i loro euro si trasformino in dracme o Geuro svalutati. Metterebbero in crisi il sistema bancario. Molti cercherebbero di portare capitali fuori dalla Grecia. Sarebbe necessario dichiarare chiuse le banche per un certo periodo e imporre controlli ai movimenti di capitale. Questo però lo può fare solo Atene: non la Ue, non la Bce. A quel punto, anzi, per la banca guidata da Mario Draghi risulterebbe anche difficile continuare a fornire la liquidità d’emergenza che al momento è l’unica fonte di denaro per lo Stato greco.
Se queste misure d’emergenza non fossero prese, il collasso del sistema bancario greco porterebbe a una rapida uscita del Paese dall’Unione monetaria. Qualcosa che nessuno vuole davvero: per questo, al momento le pressioni su Tsipras pare siano molto forti.
Anche se la bank holiday e le restrizioni ai movimenti di capitale fossero imposte, però, occorrerebbe trovare una soluzione ponte (verso qualcosa che non si conosce). La Bce sarebbe chiamata ancora una volta in prima linea ma gli esperti dicono che i suoi spazi di finanziamento sarebbero limitati, di fronte a un probabile default. Ad Atene non resterebbe che emettere una specie di valuta parallela all’euro, a uso solo domestico: sorta di cambiali per pagare salari, pensioni e riempire i bancomat. Misura drammatica e transitoria per arrivare a qualcosa di definitivo, della quale nei giorni scorsi ha parlato (non necessariamente per avallarla) il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble in una riunione riservata.
In pieno caos politico e sociale, Tsipras sarebbe costretto a ridare la parola ai greci, attraverso elezioni o un referendum: a chiedere se accettano i programmi dei creditori, e quindi restano nell’euro, oppure se li rifiutano e se ne vanno. Nelle capitali europee la convinzione è che i cittadini deciderebbero di rimanere e che, a quel punto, ad Atene non potrebbe che formarsi un nuovo governo, probabilmente «tecnico», senza Syriza o senza la sua parte anti-euro. Si riaprirebbe il negoziato con i creditori e, di fronte a un possibile accordo su un programma, la Bce tornerebbe a sostenere le banche e quindi il Paese. Scenario drammatico. Ma, se Tsipras non compie una svolta a U, forse il meno drammatico.
danilotaino