Paolo Prodi: anche i dem sono un gruppo di potere
«Renzi vuole avere le mani libere. Non mi faccia dire che rimpiango Berlusconi, ma almeno lui voleva il duopolio. Qui non c’è più nemmeno questo. Non c’è un’idea di servizio pubblico». Paolo Prodi, storico e scrittore (fratello dell’ex premier Romano), non condivide l’analisti del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, espressa ieri sull’ Unità , contro la «retorica della società civile da contrapporre al partito, come se il Pd fosse la società incivile».
Perché?
«Renzi ha ragione a dire che non ha senso la contrapposizione tra società civile e partiti. Ma non va fino in fondo e non ne vede il perché».
E qual è’?
«È che i partiti non esistono più nella realtà».
Sono virtuali?
«Esattamente. Sono gruppi di potere».
Anche il Pd, intende?
«Come no. Quando un segretario parla, come fa Renzi, di Partito della Nazione non c’è connotazione ideale. Questo è evidente».
E i nuovi consiglieri di amministrazione cos’hanno a che fare con questo?
«Non li conosco, ma visti dall’esterno, non sembrano né esponenti di partito, né della società civile. Ma persone di circoli di amicizie e cordate trasversali ».
Anche in passato però le nomine non avvenivano su criteri di indipendenza.
«Quando De Mita mi volle responsabile dell’ufficio cultura della Dc io misi come condizione che non avrei preso la tessera. Non perché mi sentissi esponente della società civile. Ma perché non vedevo cosa avesse a che fare il festival di Venezia con le correnti di partito. Tanto che presi come mio vice Luigi Rondi che era un grande tecnico. Semmai amico di Andreotti. Ma questo discorso non ha più senso ora che i partiti lasciano il passo ai populismi».
Considera populista anche Renzi?
«Beh, lo è. Anche se ciò avviene in tutto l’Occidente, come analizzo nel mio libro Il tramonto della Rivoluzione ».
In Rai non c’erano solo scelte di competenza.
«Ma nella Rai di Bernabei, che molti rimpiangono, c’era un confronto dialettico di tipo ideale tra Dc e Pci. Si tradusse anche in censure, non voglio idealizzare. Ma ora non vedo un’idea di confronto».
Renzi non mostra di voler porre fine a un’ipocrisia?
«No. Penso che lui vuole dire “queste nomine sono una decisione mia”: né dei partiti, né della società civile. Non vedo un’idea di servizio pubblico. Ma in nessun consigliere Rai. Nemmeno i più apprezzati».
Carlo Freccero?
«Lancia le sue frecce, ma è solo tecnica comunicativa. Non sento in nessuno una parola sul nuovo scenario tecnologico o sulle spese della Rai».
Intravede rischi per il pluralismo?
«Certo. È tutto collegato al Partito della Nazione. Le sembrerà strano, ma vorrei un centrodestra forte per opporsi a questo pastrocchio».
Perché?
«Renzi ha ragione a dire che non ha senso la contrapposizione tra società civile e partiti. Ma non va fino in fondo e non ne vede il perché».
E qual è’?
«È che i partiti non esistono più nella realtà».
Sono virtuali?
«Esattamente. Sono gruppi di potere».
Anche il Pd, intende?
«Come no. Quando un segretario parla, come fa Renzi, di Partito della Nazione non c’è connotazione ideale. Questo è evidente».
E i nuovi consiglieri di amministrazione cos’hanno a che fare con questo?
«Non li conosco, ma visti dall’esterno, non sembrano né esponenti di partito, né della società civile. Ma persone di circoli di amicizie e cordate trasversali ».
Anche in passato però le nomine non avvenivano su criteri di indipendenza.
«Quando De Mita mi volle responsabile dell’ufficio cultura della Dc io misi come condizione che non avrei preso la tessera. Non perché mi sentissi esponente della società civile. Ma perché non vedevo cosa avesse a che fare il festival di Venezia con le correnti di partito. Tanto che presi come mio vice Luigi Rondi che era un grande tecnico. Semmai amico di Andreotti. Ma questo discorso non ha più senso ora che i partiti lasciano il passo ai populismi».
Considera populista anche Renzi?
«Beh, lo è. Anche se ciò avviene in tutto l’Occidente, come analizzo nel mio libro Il tramonto della Rivoluzione ».
In Rai non c’erano solo scelte di competenza.
«Ma nella Rai di Bernabei, che molti rimpiangono, c’era un confronto dialettico di tipo ideale tra Dc e Pci. Si tradusse anche in censure, non voglio idealizzare. Ma ora non vedo un’idea di confronto».
Renzi non mostra di voler porre fine a un’ipocrisia?
«No. Penso che lui vuole dire “queste nomine sono una decisione mia”: né dei partiti, né della società civile. Non vedo un’idea di servizio pubblico. Ma in nessun consigliere Rai. Nemmeno i più apprezzati».
Carlo Freccero?
«Lancia le sue frecce, ma è solo tecnica comunicativa. Non sento in nessuno una parola sul nuovo scenario tecnologico o sulle spese della Rai».
Intravede rischi per il pluralismo?
«Certo. È tutto collegato al Partito della Nazione. Le sembrerà strano, ma vorrei un centrodestra forte per opporsi a questo pastrocchio».