Politica industriale
Mi sono più volte chiesto come mai noi italiani, che non apparteniamo certo all’ultimo dei paesi industriali, non siamo stati inventori né siamo produttori di nessuno dei grandi prodotti di massa che hanno rivoluzionato la nostra vita negli ultimi decenni. Mentre nella prima generazione del dopoguerra siamo stati innovatori non solo negli scooter ma nei prototipi di computer e nelle più raffinate materie plastiche, negli ultimi decenni siamo usciti dalla scena delle grandi innovazioni. Continua a pag. 25 segue dalla prima pagina Non siamo stati protagonisti nei fax, non nelle fotocopiatrici, non nei telefoni e nei computer portatili, non nelle lampade a led, e l’elenco potrebbe continuare. Tutto questo in un contesto nel quale molte delle nostre imprese, a partire dalla meccanica strumentale, sono state capaci di mantenere un ruolo da protagoniste nella concorrenza internazionale attraverso un’intelligente continuità di piccole innovazioni nel prodotto e nel processo produttivo. La risposta più ovvia, anche se assai preoccupante, è che, mancando di grandi imprese, non possiamo certo essere protagonisti delle grandi innovazioni. Questa risposta è ragionevole ma porta come conseguenza una progressiva assenza dell’Italia dai settori che non solo sono i più innovativi ma che manifesteranno in futuro una maggiore capacità di crescita. Tradotto in termini semplici tutto questo, nel lungo periodo, comporterà la nostra uscita definitiva dal gruppo di coloro che, in modo determinante o semplicemente come ausiliari, guideranno lo sviluppo dell’industria mondiale. Anche se sono ben cosciente del fatto che in Italia non abbiamo ormai nessun protagonista tra i colossi industriali, ritengo che si possa ancora elaborare una politica per portare le nostre imprese a giocare un ruolo attivo ed importante, anche se laterale, nel nuovo processo di innovazione. Cercheremo ora di tradurre queste idee generali in un esempio concreto: il grande settore dell’industria automobilistica. È ormai opinione comune che l’auto elettrica, oggi ancora marginale, sia destinata ad uno sviluppo imponente: da poche centinaia di migliaia si passerà a 20 milioni di auto elettriche fra solo tre anni, per triplicare poi nei cinque anni successivi. Mi aspetto infatti che, da un momento all’altro, il sindaco di Pechino o di Chongqing, dato il drammatico livello di inquinamento delle metropoli cinesi, proibisca l’immatricolazione di automobili a diesel o a benzina. E mi aspetto che questo sia l’inizio di un processo a diffusione mondiale. Anche nell’ipotesi che lo sviluppo dell’auto elettrica sia inferiore alle impressionati previsioni di oggi è tuttavia certo che sta nascendo un nuovo enorme settore industriale nel quale noi italiani non possiamo essere protagonisti: questo ruolo se lo giocano già gli americani (Tesla e GM) e i cinesi, mentre in Europa coloro che più investono in questa nuova direzione sono la Volvo (di proprietà cinese) e i grandi produttori tedeschi. L’Italia non potrà essere quindi tra i leader dell’auto elettrica. Il nostro paese è però un grande produttore di componenti, che dovranno progressivamente adattarsi alle trasformazioni del settore. Si tratta di componenti specializzati, che richiedono economie di scala nella produzione e nella ricerca ma che sono alla portata delle nostre imprese di componentistica. Il problema in questi casi è agire subito, con un progetto capace di legare le nostre aziende con le grandi case automobilistiche innovatrici e, nello stesso tempo, con le nostre università e i nostri istituti di ricerca. Occorre cioè apprestare un organico progetto di economia industriale capace di seguire e partecipare al processo innovativo mondiale, pur in un contesto così diverso da quello del primo dopoguerra. In queste brevi considerazioni mi sono limitato all’auto elettrica ma il problema è ben più vasto e tocca ad esempio le macchine per la produzione in 3D, i nuovi materiali, le nanotecnologie e così via. Questo nuovo che avanza ci obbliga a elaborare una strategia nazionale che, approfittando anche dei contributi positivi del progetto 4.0, possa permettere alle nostre piccole e medie imprese di partecipare, pur nel limite delle loro dimensioni, ai processi innovativi in corso in tutto il mondo. Negli ultimi anni abbiamo infatti perso continuamente quota nella produzione industriale globale. Ciò è avvenuto soprattutto nei settori a bassa tecnologia, come l’abbigliamento, le calzature e i mobili, in conseguenza dell’arrivo dei nuovi concorrenti. È tuttavia necessario tenere presente che essi stanno elevando il proprio livello tecnologico e aumenteranno la capacità competitiva anche nei settori più raffinati. Essendo senza giganti dobbiamo rafforzare i nostri produttori che, pur modesti per dimensione, posseggono ancora grandi potenzialità nella loro specifica nicchia di mercato. Dobbiamo cioè tenere conto del fatto che la politica industriale deve costruire in anticipo un futuro coerente con le caratteristiche del proprio paese e non rassegnarsi ad essere vittima del progresso altrui.
Il Messaggero – Romano Prodi – 21/08/2017 pg. 1 ed. Nazionale.