Sembra un esercizio di fantasia pessimistica immaginare, in un futuro non troppo lontano, l’edificazione dell’Impero del Bene. Ma l’intellettuale francese Alain de Benoist, nell’ultimo libro La Nuova Censura, Contro il politicamente corretto (Diana edizioni, 2021), ci avvisa che non si tratta affatto di fantasia e ci descrive con dovizia di particolari, come se si trovasse davanti ad un cantiere e osservasse passo passo i costruttori all’opera, come i buoni per autocertificazione stiano preparando il mondo che verrà. La censura non è un fenomeno storico nuovo, ma negli ultimi decenni ha assunto forme nuove. De Benoist ne individua i tre pilastri: l’assoluta convinzione di trovarsi sempre dalla parte del Bene. Ridurre al silenzio, ostracizzare, marginalizzare fino a far sentire indegni di prendere parte al consesso civile, sono le prime azioni che chi si autonomina buono compie nei confronti dell’altro con la scusa di moralizzare la società, che non sarà più ordinata al bene, come in passato, ma al giusto, in un esito paradossale: ultra permissività, perché non si prescrivono più regole di comportamento ai singoli e, al contempo, ipermoralità. All’educazione, che ci coinvolge sia dal punto di vista cognitivo e morale, si sostituisce la delegittimazione del pensiero e dell’azione sulla sola base di cosa non si può dire o fare. Il secondo pilastro è il celebre politicamente corretto; importato da oltreoceano, è
“Un’emanazione dell’ideologia dei diritti, a cominciare dal diritto di avere diritti. (…) La causa profonda del politicamente corretto risiede nella cosiddetta metafisica della soggettività, che è una delle chiavi di volta della modernità”.
Un tripudio di io, che alimenta il narcisismo del risentimento e in una società trasformata nella sovrapposizione di suscettibilità, il paradigma cartesiano del penso, dunque sono – il primo mattone di quella metafisica della soggettività poc’anzi evocata- sembra diventare: mi lamento, dunque sono.
“Lo status di vittima autorizza tutto dal momento che si sa strumentalizzare il politicamente corretto e l’ideologia dei «diritti umani». Razzismo strutturale, sessismo inconscio, omofobia latente; è la tripletta vincente. Non è più l’essenza ma la lagnanza che precede l’esistenza. Il muro delle lamentazioni esteso all’intera società in nome del diritto a far sparire le discriminazioni.”
De Benoist continua affermando che il termine discriminare ha subìto nel corso del tempo uno slittamento semantico peggiorativo per cui non significa più discernere o distinguere, ma indica sempre e comunque un incitamento all’odio. L’intellettuale francese toccherà il punto più volte nel libro, la questione principale del politicamente corretto e della nuova censura: il crollo cognitivo di fronte alla realtà. Stare di fronte alla realtà significa esprimere un giudizio che non è di valore, cioè morale, ma è principalmente di fatto. Significa constatare ciò che è altro da noi, ciò che ci sta davanti e il linguaggio ci consente di individuarlo, di riconoscerlo. Poiché la lotta alle discriminazioni è diventata la priorità dell’azione pubblica, il giudizio di fatto rischia di essere completamente assorbito dal giudizio di valore; si designa realtà non ciò che è, ma ciò che deve essere. Il nuovo Impero del Bene, quindi, sarà edificato sulla confusione tra criteri epistemologici e morali. Terzo pilastro, la censura non promana più principalmente dal potere pubblico, ma dai mezzi di informazione che ne sono diventati i principali vettori. Questo ha determinato la sostituzione dell’intellettuale impegnato con l’intellettuale a gettone, la cui missione, un tempo sintetizzata dalle tre “C”, criticare, contestare, combattere, oggi è sintetizzata nelle tre “A”, accettare, approvare, applaudire. De Benoist continua dicendo che il pensiero unico è prima di tutto conseguenza
“Dell’invasione del politico da parte della mentalità economica e tecnica, che riduce i problemi sociali a problemi tecnici per i quali, per definizione, non può esistere che un’unica soluzione. Il progresso tecnico viene concepito come il metro della storia, il mercato diviene il modello di tutti gli scambi sociali e la legittimità si riduce progressivamente alla sola legalità.”
Il pensiero unico si fa strada grazie alla militarizzazione del dibattito – da parte di chi, e ci si riferisce principalmente ai media, cassa di risonanza di privati, le multinazionali, che si impongono sul potere pubblico, si preoccupa di delimitare il perimetro della discussione, stabilendo tempi, modi e termini da utilizzare – con una combinazione micidiale di politicamente corretto e sorveglianza, destinata a semplificare la complessità del reale, cosicché sempre in nome del Bene non sia più possibile reggere l’urto di un confronto, al quale si sostituisce il sermone. Vale la pena citare l’intero passo:
“Questa sorveglianza va ad aggiungersi al «politicamente corretto» che cerca di disciplinare l’opinione con l’impiego di parole imposte a tutti, al «pensiero unico» che tende a sostituire il dibattito col sermone, all’igienismo invadente che mira a regolamentare gli usi in nome del Bene, alla regolamentazione delle preferenze e delle dilezioni che va direttamente contro la libertà di espressione. La crescente privatizzazione della società è andata di pari passo con la sua invasione da parte dell’«apparato terapeutico» dei tecnici e degli esperti, consiglieri e psicologi. Questa «colonizzazione del mondo vissuto» col pretesto della razionalizzazione della vita quotidiana ha rafforzato al tempo stesso la medicalizzazione dell’esistenza, la deresponsabilizzazione degli adulti, e la capacità di sorveglianza e controllo dello Stato. In una società considerata in debito perpetuo nei confronti degli individui, in una repubblica oscillante tra il memoriale e il compassionevole, lo Stato assistenziale, indaffarato nella gestione lacrimale delle miserie sociali per mezzo di un clero sanitario e securitario, si è trasformato in uno Stato materno e protettivo, igienista, distributore di messaggi di «sostegno» a una società posta sotto una serra. La società, così resa docile, diventa quel «gregge di animali timidi e industriosi» di cui parlava Tocqueville.”
Ovviamente, poiché ogni giorno un eroe del Bene si sveglia e, turbato dal confronto con una realtà diversa dai suoi desiderata, sa che dovrà evocare lo spettro del Medioevo per coprire di vergogna tutto quello che non funziona secondo il suo insindacabile giudizio, tutto ciò che si profila lo possiamo definire, con una punta di leggera e amara ironia, nuova Inquisizione, tesa non a vietare il dissenso, ma a delegittimarlo. Nessun miracolo, ci dice de Benoist, ci rispermierà dal nuovo corso della Storia, ma una soluzione c’é:
“Prendere le misure esatte del sistema mediale e non ingannarsi sulla sua natura. Uscire da questo sistema e dalla sua zona di influenza.”
E aspettare che imploda sotto il peso delle sue insanabili aporie.