di Sergio Risaliti
A Milano si è appena tagliato il nastro di Expo 2015, evento globale che offre all’Italia la possibilità di ripartire secondo gli auspici della cerimonia ufficiale. Non è mancata un po’ di retorica, ma hanno fatto breccia le parole del Papa che ha chiesto di tenere lo sguardo fermo sui volti degli ultimi, volti senza nome, privati d’identità e dignità. Francesco lo ha fatto invitandoci a considerare la sofferenza nell’opulenza, la miseria nello spettacolo e come esempio ha evocato lo sguardo amorevole di Gesù e di Maria. Non è forse un caso che la Pietà Rondanini di Michelangelo sia la vera stella polare di Expo 2015. L’ultima scultura del Buonarroti si manifesta da ieri in un nuovo allestimento nell’antico Ospedale Spagnolo al Castello Sforzesco, dove è possibile rivivere l’emozione che questo capolavoro dà (con la novità dell’ingresso che offre a chi arriva e si avvicina la visione della statua da dietro), in una cavea silenziosa che invita alla massima concentrazione. Come se con il suo supremo messaggio spirituale si contrapponesse alla vertiginosa mise-en-scène dell’Expo.
Il progetto dell’ultima Pietà risalirebbe agli anni tra il 1552 e il 1553. Secondo Vasari, la statua era già stata abbozzata al tempo in cui Tiberio Calcagni aveva riparato la Pietà Bandini, pietra rognosa, presa a martellate in più punti da Michelangelo. Daniele da Volterra, vicino al Buonarroti nel 1564, ricorda che il grande vegliardo lavorò «tutto il sabbato della domenica di carnovale e llavorò in piedi subbiando sopra quel corpo della Pietà». Secondo alcuni studiosi, il programma iniziale prevedeva una sola figura, quella di Gesù deposto. Solo in un secondo momento si sarebbe aggiunta la Madre. Altri ipotizzano che la Pietà dovesse essere accompagnata da altre figure laterali angeli o astanti, secondo l’iconografia della Passione. Di fatto, oggi noi ammiriamo l’incompiuto, l’informe dei volti contrapposto a parti levigatissime, e in quella essudazione della pietra scorgiamo la potenza liminare dell’icona. In altre parole, la Pietà rondanini non è collocabile nel tempo storico ma in quello dell’anima, e per questo parla a tutti intimamente. Il senso ultimo dell’arte prende il sopravvento sul linguaggio formale rinascimentale, adattando la materia alla visione ultima dell’artista. Vita, morte, gioia, dolore: tutto si spiega, come in Dante, con l’amore. Esito finale di un lungo percorso di arte e di fede, la Pietà di Milano è piuttosto una preghiera che un’opera d’arte, o meglio è la dimostrazione artistica del fatto che l’uomo di fede ha visto oltre le apparenze reali, e che la mano dell’artefice non riesce a restituire quanto l’occhio del credente ha potuto contemplare. Siamo già in un’esperienza di notte oscura. Al posto dei sogni, cui tante volte Michelangelo riferisce le sue aurorali invenzioni, qui, ad aprire la strada all’immaginazione metafisica, è la visione mistica del cristiano, che si avvicina al trapasso immerso in una riflessione notturna sull’Unigenito. Cristo esausto sembra scivolare verso un oltremondo e con il Messia anche la Madonna, la cui umanità è interamente assorbita dall’amore e dalla fede. Un unico destino travolge Maria e il Nazareno.
Nella gestualità della compassione si avvera ancora la comunione mistica tra Gesù e sua madre. I due sono un solo corpo. Maria è talamo per il suo Signore, e il misterioso avvento dell’incarnazione e della verginità si conferma davanti ai nostri occhi. A una visione laterale, l’evidente inclinazione delle due figure pare suggerire una riflessione sull’Ascensione. I due esseri sembrano distaccarsi dal suolo e assieme raggiungere il Padre. Letizia e tenerezza illuminano l’estremo sacrificio, l’immenso dolore.