Le Regionali, il Pd, Giani

ci mancava il federale

Paolo Ermini

In mezzo del cammin di nostra vita ci siamo ritrovati nella bolgia di un Pd che ha perso la rotta, ma che in Toscana regge tuttora il timone e che si appresta a dar battaglia alla Lega per mantenere il governo della Regione dopo le elezioni della prossima primavera. Come finirà nessuno può prevederlo. Tanto più che manca il più. E cioè il nome di chi nella sfida guiderà il Pd o il centrosinistra unito. Ad aggrovigliare ulteriormente il garbuglio ci s’è messo pure Matteo Renzi, che ha lanciato il suo partito, Italia Viva, partendo dai gruppi parlamentari e dalla rete dei comitati nati in Italia dopo l’ultima Leopolda. Renzi ha già detto che non presenterà liste alle prossime Regionali, ma questo non significa che rinuncerà a dire la sua. Sono giochi che prescindono dagli interessi reali della Toscana. Giochi tutti politici che lasciano fuori idee, programmi, progetti concreti. Che vengono invocati, a parole. Concretamente si pensa al potere e a chi lo gestirà. A sorpresa ieri si è alzata la voce di tal Stefano Vaccari, ex senatore e responsabile dell’organizzazione nella segreteria nazionale del Pd. Sarebbe lui l’uomo incaricato da Zingaretti di occuparsi di questa regione. Con tutto il rispetto, mai ne avevamo avuto sentore come esperto di questioni toscane. Ebbene, in un’intervista alla quale l’edizione fiorentina di Repubblica ha dato il massimo risalto, Vaccari dice tre cose: prima si decidono le alleanze cercando il dialogo anche con il M5S; poi si decide il candidato, meglio se con una decisione dall’alto invece che con le primarie; la candidata ideale per il dopo Rossi sarebbe Simona Bonafè, anche se il nome non deve deciderlo il Pd nazionale. Un vero e proprio manifesto dell’ipocrisia politica, di quella doppiezza di cui è intrisa la storia della sinistra italiana e che il Pd era chiamato a riporre velocemente nei suoi archivi. Progetto evidentemente fallito.

Tanti funambolismi per un obiettivo solo, seppur non dichiarato: far fuori la candidatura di Eugenio Giani.

Questo giornale non appoggia né la corsa del presidente del Consiglio regionale né quella di altri. Ma difende quel briciolo di onestà intellettuale che può ancora salvare un filo di fiducia tra la politica e la società civile. Giani è stato un sostenitore di Matteo Renzi, che gli ha negato la possibilità di diventare sindaco di Firenze preferendogli Dario Nardella. Dopo di che Giani si è dedicato ogni giorno alla regione, visitando tutti i Comuni della Toscana, e non una volta sola.

Un lavoro di tessitura che certamente ha dato a Giani popolarità e garantito rapporti stretti con molti sindaci, ma anche una tessitura faticosa che ha rinsaldato il legame tra i territori e un’istituzione, la Regione, spesso sentita come lontana, distante. Giani probabilmente è ancora politicamente vicino a Renzi ma non ha aderito alla scissione. E finora è rimasto nel Pd. Nell’uno e nell’altro caso può comunque rivendicare qualche merito conquistato sul campo, e il suo partito dovrebbe almeno riconoscerglielo. Sicuramente dovrebbe rispettare il suo diritto alle primarie, affinché siano gli elettori di centrosinistra a scegliere. Non solo, Giani non nasce con la rottamazione. Ha un passato di socialista, inserito a pieno titolo nella tradizione riformista. Caratteristiche che potrebbero portare al centrosinistra anche molti consensi di centro, del mondo moderato. Ce n’è quanto basta per capire che per metterlo alla porta non può bastare la sortita di un commissario del Nazareno. Che ci ricorda da vicino il federale bolognese mandato dal partito a controllare il sindaco Peppone nel film ispirato dai racconti di Giovannino Guareschi. Lui, il federale, non fece un gran figura.

 

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