Nelle animate discussioni sulle iniziative da sostenere per programmare (innovando decisamente) una ripresa della Toscana fondata su radicate realtà o su nuovi progetti figura in primo piano il patrimonio artistico e culturale. Non si tratta di spolverare l’esistente o di improvvisare appariscenti quanto fragili soluzioni. Occorre analizzare in profondità le debolezze e individuare revisioni radicali all’altezza del desiderato futuro. Per dare ai centri minori un’autentica capacità di attrazione e inserirli in sistemi che contrastino decadimento o abbandono nasce spesso l’idea di puntare su musei o monumenti, non di rado ripensati in chiave di semplice seduzione turistica: grave errore.
Che cosa s’intende oggi per museo e per le funzioni ad esso connesse? Dismessa la parentela con le Muse e superata la concezione di luogo dove ricoverare oggetti prestigiosi bisognosi di tutela, la parola dovrà sempre di più individuare sedi propulsive di attività molteplici e di attente relazioni con l’ambiente storico da cui trae alimento. Si sa quanto travagliato sia il confronto su una nuova definizione da attribuire ad un museo nelle convenzioni internazionali. Non è il caso di ripercorrerla qui. Pur non essendo approdata ad una formula universalmente accolta è chiaro che già nel decreto ministeriale italiano del 2014 è recepita la riflessione dell’International Council of Museums, e vi emergono elementi utili a prospettive in gran parte da costruire. Si mette in evidenza che si ha a che fare con un’«istituzione permanente», «al servizio della società», chiamata ad effettuare «ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali», ad acquisirle, conservarle ed esporle «per scopi di studio, educazione e diletto». Il target cui riferirsi non è solo quello immediato dei residenti prossimi, ma si sottolinea che essenziale è il rapporto con la comunità scientifica senza confini. In un quesito del testo sottoposto a consultazione si chiede se non sia il caso di qualificare l’istituzione «aperta al pubblico» con un più attuale «accessibile a tutti», mentre si è dubbiosi — perché? — se mantenere tra i fini il «diletto».
Veniamo ora al dunque, aiutandoci con qualche esempio. Quanti sono i musei toscani pronti a rispondere a questa più ricca fisionomia? A che livello è una rete di cooperazioni e scambi tra sedi notissime e punti periferici o isolati? Le definizioni sintetizzate son già in parte monche e necessitano di non banali specificazioni aggiuntive. Sta prendendo quota la linea dei cosiddetti Uffizi diffusi, ma già l’uso di Uffizi come brand glorioso da esportare scopre un’attitudine non caratterizzata dalla ricostituzione, ove possibile, di contesti nei quali le opere «sottratte» ritrovino il respiro che possedevano. Discorso quanto mai delicato ma fertile. Non è così facile reinserire sull’altare di una chiesa una pala concepita per il culto se poi la chiesa resta chiusa o viene degradata a museino da aprire una volta quando capita. Da annotare segnali positivi: a Montalcino ha fatto discutere, ma si rivela operazione feconda di risultati, l’invenzione di un Tempio del Brunello che, con adeguati supporti tecnologici, fa scoprire ai visitatori l’«oro» del territorio circostante: arte e agricoltura, distinte e alleate. Considerazioni non sommarie meriterebbe il Museo del Tessuto di Prato, una Fondazione che oltre alle collezioni permanenti raccoglie in progress testimonianze relative alle tecniche dell’arte tessile, collabora a esperienze di scuola-lavoro, promuove tirocini, ed è aperta a cooperare con professionisti che nella definizione dei loro progetti non trascurino la componente storico-documentaria. Unico nella sua originalità è il Piccolo Museo del Diario di Pieve Santo Stefano, che fa vivere e aiuta a leggere il patrimonio di comuni diari raccolto nell’Archivio diaristico nazionale: fonti che diventano così scrittura animata e parlante attraverso percorsi multisensoriali e interattivi. Insomma all’ordine del giorno risaltano musei che siano laboratori e officine di incontri, capaci di coniugare esigenze locali e di fregiarsi di esperienze internazionali. Non guasterebbe una più incisiva e persuasiva politica regionale tesa se non altro a evitare dissonanti errori. A non lieto finale di questi appunti un cenno a quanto sta accadendo in Siena per la neonata Fondazione Antico Ospedale Santa Maria della Scala. Si son fatti passetti in avanti e parecchi indietro. Aver dato autonomia (non in pieno soddisfacente) da parte del Comune al maestoso plesso architettonico sembrava un pur difettoso avanzamento, ma invece di individuare per la Fondazione varata risorse e definire un coinvolgente progetto si è liquidato il soggetto gestore e affidato il tutto ad una società, la Si.ge.ri.co, il cui nucleo finora era abilitato a occuparsi di parcheggi e servizi completamente estranei all’ambio culturale. In più si è emesso un bando per assumere 26 addetti ai quali è richiesta la licenza media e una qualche esperienza nel settore. L’impressione è che si giochi al ribasso e rischino di svanire nel nulla le alte ambizioni enunciate: un Centro polivalente che sia museo di se stesso — come in buona misura è — e di storia della città, esposizione permanente del patrimonio custodito ora nella Pinacoteca nazionale integrato con nuove immissioni, laboratori creativi e produttivi, start-up con ricadute industriali, seminari in tema di restauro e di gestione e così via. Nell’incertezza fioriscono nuove ipotesi e si ricomincia daccapo a fantasticare — in un post di Franco Cambi, docente del Dipartimento di scienze storiche e dei beni culturali dell’Ateneo — un’onnicomprensiva funzione identitaria, declinata con un’accentratrice visione localistica. Il pericolo è che, in mancanza di scelte chiare e coerenti, si prosegua nell’andazzo in voga: ospitando mostre e mostriciattole, convegni e fiere. E riducendo quello che avrebbe dovuto essere un cuore pulsante e rigenerante di un attrezzato distretto a rifugio d’un’effimera, illusoria e mercantile, artificiosa post-modernità. In barba a ciò che sta (un po’) maturando in Toscana e va precisandosi a fatica su scala internazionale.
Roberto Barzanti
“Corriere Fiorentino”, 13 gennaio 2022.