Intervento di Giovanni Gigli
L’improvvisa accelerazione del “lavoro agile” o smart working, legata alla pandemia, ha innescato un generale consenso tra lavoratori, sindacati, aziende e Governo. L’entusiasmo iniziale per questa forma di organizzazione del lavoro, tuttavia, non sembra essere accompagnata da analisi e riflessioni intorno a un cambiamento così profondo del modo di concepire il lavoro. L’obiettivo del 60% di lavoratori in smart working invocato più volte dal Ministro Dadone somiglia molto più ad uno slogan propagandistico, un mantra da ripetere in ogni convegno o conferenza stampa, privo com’è di qualsiasi statistica o ricerca in merito. Eppure gli argomenti su cui discutere non mancherebbero.
Ecologia. Si è già parlato di risparmio energetico dovuto ad un minore inquinamento per la diminuzione del traffico urbano . Anche a fronte di un maggiore consumo di energia prodotta dalla casa in cui si lavora (impianti di riscaldamento, frigoriferi, etc.) i vantaggi in termini di riduzione di Co2 sarebbero notevoli.
La casa, il nuovo ufficio. Lo spazio da dedicare al lavoro andrà rimodulato su nuovi parametri, per fissare una frontiera tra spazio-casa e spazio-lavoro. Anche in questo caso in Italia non siamo preparati, considerato che le nostre abitazioni non sono mai state pensate per un utilizzo lavorativo. Se fino ad oggi gli uffici era progettati per un giusto equilibrio tra privato e pubblico, adesso occorrerà fare lo stesso all’interno delle abitazioni, anche in termini di sicurezza e di legislazione antinfortunistica. Da non sottovalutare un piano di il ricollocamento dei “vecchi” spazi di lavoro liberati dalla presenza del dipendente.
Economia urbana. Se la produttività dell’azienda o della PA potrà godere di un incremento positivo dal lavoro agile, dovremo assistere ad un ulteriore crisi della micro impresa e dei negozi di vicinato. Bar, gastronomie, ristoranti e negozi alimentari in prossimità di aziende e sedi amministrative pubbliche, basando i loro incassi sui buoni pasto e sulle pause pranzo rischiano di scomparire del tutto.
Relazioni sociali e familiari. Lavorare in casa non rappresenta per tutti la stessa esperienza. Per il single può essere più semplice, per chi deve convivere figli minori si impongono valutazioni diverse. Per questi ultimi sarebbe un’ottima opportunità se la scelta dell’home working fosse modulata in modo flessibile. Un’altra questione è l’aspetto delle relazioni visuali tra colleghi di lavoro. Alcuni, soprattutto nelle categorie di maggior livello, lamentano una mancanza di scambio informativo su progetti, consigli e valutazioni del proprio lavoro, senza considerare che ai neo assunti verrebbe a mancare quel background di conoscenze che si può costruire solo con la conoscenza diretta nella sede lavorativa.
Formazione nella PA. La situazione di carente preparazione del dipendenti in alcuni settori della Pubblica amministrazione si associa ad una anzianità dei dipendenti della PA. Sebbene negli ultimi anni vi siano stati dei lievi progressi in termini di meritocrazia e formazione, è difficile pensare di collocare in piena autonomia di lavoro il 60% degli impiegati pubblici senza una valorizzazione delle competenze e una diminuzione dei lavoratori a bassa qualificazione. Non è un caso che, soprattutto al sud, ci siano esempi di “esenzione dal lavoro” retribuita.
In definitiva il lavoro agile in Italia deve fare prima i conti su una situazione sociale, economica e culturale complessa, che va analizzata in maniera progressiva valutando le molteplici situazioni lavorative, sia nel privato che nel pubblico, senza innalzare improvvide battaglie ideologiche sulla base di una modernità a cui dobbiamo per forza adeguarci. Lo smart working potrà portare effetti benefici solo laddove potranno conciliarsi in modo virtuoso le esigenze sociali ed umane con quelle produttive, mettendo al centro di questa rivoluzione l’uomo e non la ricerca di un obiettivo produttivo a tutti i costi, altrimenti sarà solo un salto nel buio.