Più che una grande coalizione legata dalla virtù e dall’interesse nazionale, la Spagna si regge su un’intesa dovuta alla necessità e all’interesse di partito: in eventuali elezioni anticipate si rafforzerebbe il premier, garante dell’unità nazionale, e il Psoe rischierebbe di scendere sotto quel 20% che pare ormai diventata la soglia dei partiti riformisti d’Europa.
Non si vede come in Italia una seconda campagna elettorale possa cambiare i rapporti di forza. Senza considerare che il presidente della Repubblica farà di tutto, non per sua personale ostinazione ma per fedeltà alla Carta costituzionale, pur di dare al Paese un governo.
E per motivi non altrettanto nobili anche i parlamentari che avranno strappato un seggio opporranno una vigorosa resistenza all’idea di rimetterlo in gioco dopo pochi mesi. Il miraggio di nuove elezioni in breve tempo è destinato quindi a rimanere tale; ma può comunque fare danni.
La disillusione non è mai stata tanto alta, la distanza tra elettori ed eletti mai tanto ampia. Ormai è difficile persino mobilitare i cittadini per la scelta del proprio sindaco; figurarsi per designare parlamentari di fatto scelti dalle segreterie dei partiti. Se passa l’idea che il voto di marzo sarà inutile o comunque destinato a essere ripetuto, cresceranno sia l’astensione, sia la frammentazione; e l’avvento di «quarte gambe», foglioline d’Ulivo e altri partitini non farà che rendere ancora più complicato assicurare la stabilità.
Il voto di marzo sarà invece molto importante; a ricordarlo basterebbe la presenza di un movimento antisistema vicino al 30%, cosa che non si è mai vista in una democrazia occidentale (Trump era sì un outsider , però aveva vinto le primarie di uno dei due grandi partiti su cui da secoli si regge il sistema politico americano). Le incognite sono molte e interessanti: c’è spazio per una forza alla sinistra del Pd? Renzi è stato solo una meteora? Il centrodestra può avere i numeri per governare da solo? E certo non sono in gioco soltanto interessi personali o di fazione.
L’Italia non è la Germania, per citare un grande Paese in mezzo al guado. E non è neppure la Spagna, che con la Germania intrattiene un rapporto privilegiato: il debito pubblico di Madrid è per buona parte in mani tedesche, e questo aiuta a capire il salvataggio delle banche spagnole con i denari europei, e pure l’appoggio ad Amsterdam per la sede dell’Agenzia del farmaco come da desiderio della Merkel. L’Italia ha un debito pubblico abnorme, che non può essere risanato solo con i tagli, ma richiede una crescita vigorosa: qualsiasi parametro calcolato sul Pil andrà male, fino a quando il Pil non risalirà in modo significativo. Il Paese sta riemergendo a fatica dal più grande depauperamento della storia repubblicana, paragonabile a una guerra perduta. Siamo sicuri che l’assenza di un esecutivo nel pieno dei suoi poteri, di una politica economica e industriale, di ministri in grado di trattare da pari a pari in Europa e sui tavoli internazionali, siano un toccasana per un Paese osservato speciale delle istituzioni finanziarie e dei mercati? Già una volta, nell’autunno 2011, l’Italia si trovò al centro di una tempesta speculativa. All’epoca dovette dimettersi un governo che non era mai stato sfiduciato dal Parlamento. E ora pensiamo di affrontare le burrasche prossime venture senza governo?
Corriere della Sera – Aldo Cazzullo – 16/12/2017 pg. 1 ed. Nazionale.