di Paolo Conti
«E sistono paesaggi plurimillenari che abbiamo ereditato, come quelli delle nostre città e campagne… ma esistono anche paesaggi metaforici costruiti da noi, come quando arrediamo una casa, riforniamo la nostra libreria e raccogliamo suppellettili amate». Poi c’è un paesaggio spirituale che possiamo crearci «ammobiliando la mente con idee, che sono fulcri della coscienza, della conoscenza e dell’attività, forze madri sovente trascurate nonostante abbiano il potere di liberare oppure di asservire: sono i nostri monumenti immateriali».
Il nuovo saggio dell’archeologo e presidente del Fai (Fondo Ambiente Italiano), Andrea Carandini, proprio per queste chiare ragioni si intitola Paesaggio di idee-tre anni con Isaiah Berlin (Rubbettino, pp. 383, e 19). Chiunque conosca l’articolo 9 della Costituzione sa che la Repubblica è chiamata a tutelare il paesaggio e il patrimonio storico-artistico. Il paesaggio, almeno quello italiano, inteso come sintesi spesso miracolosa ed equilibratissima tra l’opera della natura e la mano dell’uomo. Argomento al quale, con diversi incarichi, Carandini ha dedicato congrua parte della propria vita di docente, di divulgatore e di «civil servant», oggi al Fai e ieri alla presidenza del Consiglio superiore dei beni culturali. Era inevitabile il richiamo, anche nel titolo, al concetto di «paesaggio» nel momento in cui ha sentito il bisogno di testimoniare e di raccontare come il suo orizzonte interiore si sia modificato per sempre dopo aver analizzato a fondo e studiato per tre anni l’opera di Isaiah Berlin, tra i massimi pensatori liberali del Ventesimo secolo, politologo, filosofo e saggista, definito da Carandini «un riformista, mai un rivoluzionario e neppure un reazionario».
La decisione di riprendere in mano la complessa opera dello studioso (ebreo originario di Riga, poi cresciuto a San Pietroburgo, trasferitosi con la famiglia a Londra nel 1921 in seguito alla rivoluzione, morto a Oxford a 88 anni nel 1997 dopo una intensa vita accademica, ricca di successi, di prestigiosi incarichi e di saggi ritenuti ormai fondamentali) ha messo ancora una volta in discussione il suo «paesaggio di idee»: «È stato come passare dal piano terreno a quello superiore di una scala a chiocciola. Prima mi sono opposto al liberalismo di mio padre, quello degli Amici del mondo , e mi sono rivolto all’universo sconfinato di Marx e all’economia dello schiavismo romano, contro il marxismo idealistico che allora prevaleva in Italia… Poi mi sono interessato al cuore palatino-forense di Roma antica, al pensiero mitico della sua leggenda e alla conoscenza dell’inconscio, grazie a un’analisi con Matte Blanco… Quindi mi sono dedicato all’origine del monismo cristiano apostolico divenuto romano basato sull’escatologia… e finalmente, scrivendo questo libro, ho lasciato la controversia tra i suddetti movimenti ideali, intesi in modo separato e chiuso, e mi sono aperto a una svolta probabilmente per me conclusiva, in parte con Berlin e in parte anche oltre lui». Carandini ragiona comunque sempre da archeologo e regala un’immagine eloquente: «Le idee sono monumenti senza materia, che però hanno una loro forma, a volte magari frammentaria, per cui essa va integrata e ricostruita, come si fa con le rovine».
Il viaggio interiore e intellettuale che Carandini propone attraverso il suo rinnovato «paesaggio di idee» ha in Berlin, per esplicito intento programmatico, il proprio Virgilio. Ma l’itinerario resta comunque originale, autonomo, proprio per la tecnica di «integrare e ricostruire» le idee, cioè i «monumenti senza materia» che albergano nel suo «paesaggio di idee». Si parte dal rapporto di Berlin con l’Illuminismo («una visione ricca, avvincente, ed equilibrata che ha irritato i partigiani di quel movimento che in lui hanno individuato, sbagliando, un nemico»). E poi Carandini prosegue nel mare aperto delle idee attraverso diversi passaggi: «Albe di nuovi mondi» (per esempio Machiavelli o Leibniz ma anche Vico e Croce), «Verso il plurimo» (da Kant a Herder), «Reazioni» (Lukacs, Nietzsche, Burke), «Esattezza e irregolarità». Sempre guardando a Berlin, con questo «io modificato» dallo studio del pensatore, «eppure anche il vecchio io riemerge e ha da dire la sua, aprendo un dialogo che porta sia a persuasioni che a rinnovate perplessità». Infine le conclusioni, dove Carandini (riecco l’archeologo) paragona il mondo di oggi «particolare e globale sia nella società che nelle persone» al «sistema cosmopolita globalizzato nell’età del bronzo (basato sull’importanza strategica dello stagno, dall’Afghanistan, e del rame, da Cipro) a tal punto interconnesso che il rivolgimento in una delle sue parti poteva produrre instabilità nell’intero complesso». Perché, così chiude Carandini, è il tema di questo libro: «L’uomo, uno e plurimo», immerso in un proprio paesaggio di idee destinato a cambiare continuamente, capovolgendo certezze e proponendo dubbi sempre nuovi e ogni giorno più complessi.