di Yascha Mounk
Il 23 febbraio del 2022 Putin ha smesso di fingere. Per mesi ha sostenuto di essere interessato soltanto alla sicurezza del suo Paese. Per mesi ha assicurato al mondo il suo interesse per una soluzione diplomatica. Per mesi ha ridicolizzato chi avvertiva di un’imminente invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Poi ha ordinato un attacco su larga scala contro uno stato sovrano. I missili russi hanno colpito obiettivi in città importanti, fra cui Kiev, Lviv e Kharkiv. Le truppe russe sono avanzate rapidamente in territorio ucraino. La guerra è tornata nel cuore dell’Europa.
Per quanto insistesse nel dire che la Russia stava solo facendo una “operazione militare speciale”, voleva chiaramente che il mondo ricevesse il suo messaggio. L’ordine globale emerso in seguito al crollo dell’Unione Sovietica è ormai cosa del passato. Putin non intende più tollerare che nemmeno le più basilari norme internazionali – come il divieto di fare conquiste territoriali con mezzi militari – limitino le sue ambizioni. Siamo all’inizio di una nuova era di politiche di potere puro e semplice. Ironia della sorte, l’attacco contro l’Ucraina coincide con la pubblicazione di un rapporto fondamentale sullo stato della democrazia nel mondo. La pubblicazione da parte di Freedom House di un deprimente rapporto sullo stato della democrazia è ormai un rituale annuale. Mentre l’edizione di quest’anno veniva pubblicata sul sito dell’organizzazione, nelle prime ore del 24 febbraio, la Cnn trasmetteva dal vivo le immagini di truppe russe che varcavano la frontiera e pennacchi di fumo che si innalzavano nel cielo di diverse città dell’Ucraina.
Basandosi su un meticoloso monitoraggio di ciò che accade in ogni angolo del mondo, Freedom House constata che siamo entrati nel sedicesimo anno consecutivo di quella che il politologo Larry Diamond ha definito una “recessione democratica”. Nel 2021, ancora una volta il numero di paesi che si sono allontanati dalla democrazia ha superato di gran lunga il numero di quelli che vi si sono avvicinati. Le istituzioni democratiche e i diritti civili hanno subito un deterioramento in 60 paesi; in Afghanistan, Nicaragua, Tunisia e Sudan il declino è stato particolarmente precipitoso. All’inizio della recessione democratica circa metà della popolazione mondiale viveva in un paese classificato come “libero”. Oggi accade solo a due persone su dieci, mentre quattro vivono in nazioni “parzialmente libere”, come l’India, e altre quattro in nazioni “non libere”, come l’Arabia Saudita. Negli ultimi anni, paesi le cui istituzioni democratiche una volta i politologi consideravano “consolidate” hanno mostrato segni evidenti di debolezza e instabilità. Tutto ciò ci è ormai tristemente divenuto familiare. Ma i dati più interessanti che emergono dal report contribuiscono a dare il giusto contesto agli eventi tragici che stanno accadendo nell’Europa dell’Est. Perché se l’apparente intenzione della Russia di annettere parti dell’Ucraina rappresenta una violazione particolarmente grave delle norme internazionali, gli assalti alla democrazia negli ultimi anni si sono fatti sempre più sfrontati. Ora che la democrazia è in crisi in tutto il mondo, i suoi nemici non sentono più alcuna necessità di dissimulare le ambizioni autocratiche.
A metà del primo decennio di questo secolo, il numero di paesi che subivano gli effetti della recessione democratica era alto ma i colpi di Stato militari erano pochi. Nel 2021, al contrario, il numero di colpi di Stato è arrivato a sette, la cifra più alta dal 2000. I militari di paesi come Myanmar, Sudan e Mali hanno imbracciato le armi per insediare al vertice i loro leader politici preferiti nel corso dell’ultimo anno. L’indebolimento delle norme democratiche permette anche a presidenti e primi ministri già in carica di agire in modo più spietato. Nel periodo immediatamente successivo alla guerra fredda, anche i dittatori sentivano il bisogno di inchinarsi all’altare della democrazia. I leader politici facevano di tutto per mantenere un’illusione di legittimità democratica. Anche se queste professioni di fede democratica non erano mai sincere, i regimi autoritari evitavano di reprimere in modo aperto e brutale gli attivisti dell’opposizione o i cittadini comuni. Ora qualcosa sta cambiando.
Per esempio, sebbene l’opposizione russa abbia operato a lungo in condizioni estremamente difficili e pericolose, alcuni partiti esplicitamente critici nei confronti di Putin hanno talvolta potuto presentarsi alle elezioni. Nel 2021 non è stato così: Aleksej Naval’nyj e molti dei suoi sostenitori sono stati incarcerati nel periodo precedente alle elezioni parlamentari e il loro partito è stato escluso dalle elezioni.
Un altro aspetto deprimente che emerge dal rapporto di Freedom House è che di recente il numero di paesi che hanno visto un miglioramento delle loro istituzioni democratiche è diminuito radicalmente. Nel 2006, il primo anno della recessione democratica, 56 paesi sono andati in direzione di una maggiore libertà e democrazia. L’anno scorso solo 25. Negli Stati Uniti e in gran parte dell’Europa occidentale la crisi attuale riguarda soprattutto ciò che i politologi chiamano “cedimento democratico”: l’indebolimento delle istituzioni democratiche in paesi che ne godono da molto tempo. Ma l’aspetto più sorprendente del momento che stiamo vivendo a livello mondiale potrebbe essere definito “sconforto democratico”: il numero dei paesi che aspirano alla democrazia è sceso ai minimi storici.
Alla fine della guerra fredda, tutti gli indicatori puntavano nella direzione della democrazia. Tutto il mondo sognava di vivere il sogno americano, sognava il benessere raccontato dai film di Hollywood e le libertà sancite dalla Carta dei diritti. Le altre democrazie occidentali sembravano stabili e floride e ispiravano i cittadini di altri paesi che aspiravano a essere ben governati a lottare per ottenere la democrazia. E gli Stati Uniti erano l’unica superpotenza del mondo, limitavano le ambizioni geopolitiche dei dittatori e li incentivavano persino a governare con mano leggera. I cambiamenti degli ultimi tre decenni hanno fortemente ridimensionato il fascino della democrazia. Chi è interessato soprattutto alla ricchezza materiale oggi può desiderare di vivere in paesi autocratici ricchi come la Cina o gli Emirati Arabi Uniti; per molti cittadini dei paesi più poveri del mondo il sogno del benessere non è più associato al sogno di vivere in una democrazia. Molte democrazie oggi sperimentano aspre divisioni interne e sfide significative alla loro stabilità; questo deterioramento delle istituzioni democratiche è evidente negli Stati Uniti. E a sfidare il potere del mondo democratico oggi ci sono l’ascesa della Cina e il desiderio di rivalsa della Russia; i dittatori di tutto il mondo possono rivolgersi ai regimi autoritari in ascesa per ottenere investimenti economici, forniture militari e legittimazione internazionale. Tutto ciò può contribuire a spiegare perché i dittatori stanno gettando la maschera. Mentre le truppe russe avanzano verso Kiev, la democrazia non è più l’unico gioco sulla scena globale. Ne consegue che nei prossimi decenni non assisteremo solo allo scontro fra democrazie e autocrazie in territori chiave come l’Ucraina. Vedremo anche i difensori della democrazia contrapporsi a coloro che rifiutano apertamente la presunta decadenza dell’autodeterminazione dei popoli.