Taccuino
Se mai c’era stato, se mai s’era avvicinato, l’accordo per le presidenze delle Camere ieri è tornato per aria. E anche l’asse tra 5 stelle e Lega si presenta meno solido di quanto poteva apparire. Intanto oggi un vertice del centrodestra si concluderà senza pregiudizi sulla richiesta di M5S di avere la presidenza della Camera, ma con la richiesta di allargare effettivamente la trattativa a tutti i componenti degli uffici di presidenza, un insieme di più di venti poltrone, tra vicepresidenti, questori, segretari. Il che consentirebbe, seppure con uno sforzo, di coinvolgere nel negoziato anche il Pd, che al momento rischia di restare fuori da tutto, e che invece potrebbe dare una mano in votazioni che metteranno alla prova gruppi parlamentari appena formati ed esposti al rischio di franchi tiratori (la memoria dei primi, fallimentari scrutini per l’elezione del Presidente della Repubblica nella scorsa legislatura è ancora viva), e di assicurare, almeno sul piano parlamentare, una rappresentanza di tutti i gruppi, compresi quelli minori, per garantire un avvio più tranquillo della legislatura e un successivo e sperabilmente più sereno confronto sui lavori parlamentari. Più o meno questa è la procedura seguita in tutti gli inizi delle ultime legislature, anche quelli seguiti a campagne elettorali durissime, come erano quelle dei tempi del bipolarismo. Ma la novità di questa volta è che i 5 stelle sono contrari alla spartizione e a condividere l’eventuale accordo anche con Forza Italia, puntando piuttosto a un’intesa a due con la Lega e a una conseguente suddivisione delle cariche che eviti ogni commistione tra vincitori e sconfitti. Se questo irrigidimento fosse confermato, gli effetti non si ripercuoterebbero solo sulla partita dei vertici di Montecitorio e del Senato, ma ovviamente anche in quella del governo. In altri termini: anche i vincitori cominciano a prendere coscienza della loro condizione di minoranza e a valutare la convenienza di intese che erano apparse molto più facili di quanto non siano in realtà. Salvini ha molta meno fregola di parlare di un governo di durata non garantita in cui si troverebbe, da solo, e con i suoi voti che sono la metà di quelli grillini, sottomesso ai 5 stelle, e con un largo fronte d’opposizione, da Forza Italia al Pd. E per il Pd, ancora terremotato da una sconfitta di cui non riesce a farsi una ragione, almeno nella partita dei vertici delle Camere sta per riaprirsi una chance.