Architettura Il centro realizzato in Francia nell’ex area industriale riconvertita in cittadella delle arti
di Aldo Colonetti
Il progetto di Frank Gehry per Arles: 56 metri di acciaio e luce. L’edificio simbolo del Parc des Ateliers che aprirà in primavera
ARLES (FRANCIA) Si può essere identici a sé stessi e contemporaneamente dialogare con il contesto storico e culturale, mostrando diversi punti di vista rispetto al territorio circostante: l’architettura contemporanea vive questa sorta di oscillazione tra passato e presente, cercando di lasciare tracce anche per un futuro prossimo. Non sempre ci riesce; Frank Gehry appartiene a una storia singolare, riconoscibile ma attenta alle nuove tecnologie e ai nuovi materiali costruttivi, come nel caso della sua ultima opera: la torre dell’Arts Resource Centre, il nuovo potente simbolo di Arles, in Provenza, che sorge all’interno del quasi completato Parc des Ateliers, voluto della Fondazione Luma, diretta e finanziata da Maja Hoffmann, erede della grande famiglia industriale svizzera dei Roche.
Ho incontrato la prima volta Gehry circa trent’anni fa, nel suo piccolo studio di Santa Monica, alle prese con una serie di modellini che realizzava accartocciando fogli, lasciandoli poi liberamente sviluppare in forme casuali, diverse le une dalla altre; intorno aveva un gruppo di giovani ingegneri e ricercatori della Silicon Valley che avrebbero, dopo avere individuata la soluzione compositiva, sviluppato strutturalmente la maquette di carta. Dal 1997, anno dell’inaugurazione del Guggenheim a Bilbao, ne è passata di strada; oggi, ad Arles, di fronte a questa architettura, uguale e insieme completamente diversa da quei primi progetti «californiani», siamo meravigliati per la sua capacità di sperimentare, a 91 anni, percorsi compositivi inediti, nei quali emerge un’attenzione, insolita, nei riguardi sia del linguaggio pittorico di un artista come van Gogh, sia del paesaggio intorno, in particolare la piccola catena montuosa di tipo calcareo, le Alpilles, che Gehry riporta, metaforicamente, nella sua opera.
Cinquantasei metri di altezza, 15 mila metri quadri, 10 piani, il tutto realizzato con 10.752 blocchi di acciaio inossidabile numerati, collocati secondo un orientamento che dialoga con la luce naturale, dall’alba al tramonto, realizzando una serie di effetti tridimensionali che cambiano continuamente. L’architettura appare come un’immaginaria nave arenata e sconquassata; il linguaggio di van Gogh è stato reso tridimensionale lavorando su tutte le tonalità del grigio, dell’argento e, ovviamente, del cielo provenzale.
La torre, a questo punto, sembra anche una parete delle Alpilles, da scalare più con la mente che con il corpo perché, all’interno, protagoniste sono tutte le arti applicate, a cominciare dalla fotografia; Arles ospita dal 1969 i famosi «Rencontres», un appuntamento unico al mondo.
Il grande tamburo circolare che sta alla base della torre ricorda l’anfiteatro di Arles, in linea d’aria distante pochi centinaia di metri; un Gehry, parzialmente inedito, attento alla storia della città romana e nello stesso tempo rispettoso degli altri interventi architettonici che nel loro insieme costituiscono una vera e propria cittadella delle arti: appunto il Parc des Ateliers, 6 ettari, che sorgerà là dove era insediata la produzione delle locomotive delle Ferrovie francesi.
Passeggiando in un cantiere ancora aperto (l’inaugurazione completa sarà in primavera), è possibile già vedere, in via di conclusione, gli interventi degli altri progettisti: quelli del paesaggista belga Bas Smets, la ristrutturazione degli ex spazi industriali realizzata dallo studio di New York Annabelle Selidorf e dal francese Marc Barani; quest’ultimo ha già ospitato mostre di Pilotti Rist, Olafur Eliasson, Daniel Buren e Annie Leibovitz.
Un progetto importante che ha i piedi ben saldi nel territorio della Camargue, in particolare nel suo patrimonio naturalistico, da cui ricavare nuovi materiali costruttivi e progettuali coinvolgendo i saperi di vecchi mestieri e delle antiche tradizioni artigianali. Il primo laboratorio avviato ha già prodotto un documento molto interessante, dedicato al design come strumento e linguaggio del cambiamento.
Particolare e universale insieme, locale e globale come filosofia generale per un intervento dal costo complessivo di 180 milioni di euro. La torre di Gehry rappresenta un po’ l’emblema di questo grande laboratorio che guarda al futuro, senza dimenticare da dove veniamo.