Meno investimenti diretti nelle imprese e più finanziamenti ad aziende ed enti locali
di Andrea Greco
MILANO — L’assemblea di Cassa depositi e prestiti nomina Dario Scannapieco ad fino al 2024. Un arco di tempo in cui, secondo molti indizi e osservatori, l’istituto di promozione nazionale con 512 miliardi di euro di attivo volterà pagina in modo netto: meno investitore nelle aziende, più finanziatore e “facilitatore”.
«Qui è un gran casino, bisogna ricostruire tutto», avrebbe confidato il vicepresidente uscente della Bei (Banca europea investimenti) ai più stretti interlocutori dopo la nomina alla Cassa. Il problema sarà come farlo, in che tempi e modi opportuni, dato che le folate del vento statalista recente non hanno spiegato tutti i loro effetti. Il triennio della gestione di Fabrizio Palermo è stato tra i più interventisti dei 170 anni della storia Cdp: sia per l’impostazione data dall’ex direttore finanziario in asse con le due maggioranze di Giuseppe Conte (specie i M5S), sia per la sopraggiunta pandemia, che ha portato a investimenti in ambiti più e meno strategici. Così la pletora di partecipazioni – almeno una ventina quelle rilevanti, più decine di fondi e quote minori per circa 30 miliardi di patrimonio – s’è allargata. Ultime arrivate sono Nexi-Sia, la quota in Borsa spa, il 10% che porta Cassa al 60% di Open Fiber e – se lunedì l’assemblea Atlantia approverà l’offerta – il 45% di Autostrade per l’Italia.
Con Scannapieco al vertice – e Mario Draghi, che lo ha voluto, al governo – difficilmente la Cassa avrebbe aperto questi dossier. La forma mentale dell’ex presidente Bce e di quello che al Tesoro fu tra i più brillanti Draghi boys dal 1997 al 2007, è infatti che lo Stato debba investire solo in casi estremi, e in assenza di altri compratori. Gli anni al Tesoro Scannapieco li passò in buona parte a scegliere quali attività pubbliche vendere, per poi gestire le rimanenti; mentre alla Bei si è specializzato nei prestiti a lungo termine a enti e imprese.
Anche di recente, in pubblico e in privato, Scannapieco e Draghi hanno espresso la preferenza per una Cdp che non governi le imprese private, ma si concentri su un fattivo finanziamento delle amministrazioni, e le metta in connessione con il tessuto produttivo privato. In più, ora che c’è il Piano Ue da 222 miliardi neanche Cdp deve più recitare a soggetto: quindi basta interventi a chiamata, ma un’agenda che passerà dai cardini del Pnrr. Del resto, quattro su sei tra essi – “digitalizzazione e innovazione, “rivoluzione verde e transizione ecologica”, “infrastrutture”, “istruzione e ricerca” già vedono la Cdp protagonista. «L’ultima grande occasione per l’Italia », aveva definito il Pnrr Scannapieco in recenti dichiarazioni stampa e in Parlamento, definendolo «in linea con le richieste della Commissione Ue e con le priorità del Paese», e raccomandando di «declinare e rafforzare la parte legata alle riforme strutturali, anzitutto fisco, giustizia e Pa, e partire con ciò che è già cantierabile».
Ieri Cdp ha rinnovato tutto il cda di nove membri, per la prima volta in maggioranza donne: ci sono anche Fabiana Massa Felsani, Anna Girello Garbi, Giorgio Toschi, Livia Amidani Aliberti, Fabrizia Lapecorella per il Tesoro, e Giovanni Gorno Tempini (presidente), Matteo Melley, Alessandra Ruzzu per le Fondazioni, socie al 16%. I partiti hanno espresso i nomi dei “tecnici” Massa Felsani (M5S), Girello Garbi (Lega), Toschi (Iv), Amidani Aliberti (Pd). A Scannapieco gli auguri del presidente dell’Acri, Francesco Profumo: «Le sue competenze e reti di relazioni, intessute nella lunga esperienza alla Bei e al Fei, saranno molto utili nella fase di messa a terra del Pnrr».