Che la storia non fosse maestra di vita ce l’aveva già suggerito Eugenio Montale. “La storia non è magistra/di niente che ci riguardi”. E la scuola, invece? È maestra di vita? Quest’anno a metà, concluso e inconcluso, è finito. Tra didattica a distanza e lezioni in presenza. La campanella è suonata un po’ sì e un po’ no. In dad, ci pensano gli studenti a dirti: “prof, è finita l’ora”. Se ti va bene, altrimenti chiudono il collegamento Meet e basta. Siamo a fine giugno. Ormai anche gli esami, con il loro bagaglio di lacrime e rimorsi, si stanno per concludere, con il nastro, la carta da pacchi e la ceralacca. Se osservi bene il volto di un insegnante, forse, ci troverai le tracce del passaggio degli sguardi dei suoi studenti. Come quando, nel bene e nel male, ti trovi un compagno di viaggio e fai con lui un pezzo di deserto. Che ti piaccia o meno. Avete trovato un’oasi? Per avere un quadro chiaro, senza miraggi, di come sia andato quest’anno strampalato, ho chiesto al prof Marcello Bramati, insegnante milanese di liceo scientifico (insegna al Cremona), tutor di studenti e famiglie, ex dirigente scolastico. In tasca ha due lauree, una in lettere e una in storia, nei suoi primi dieci anni di insegnamento ha sperimentato tutti e tre i livelli di istruzione. E, da qualche tempo, scrive su “Panorama” di scuola e di cultura. Ha pubblicato due libri, entrambi a quattro mani con Lorenzo Sanna: Basta, studiare! (Sperling & Kupfer) per uscire dall’ansia di compiti, insufficienze e debiti ad uso di genitori e studenti e Leggere, per piacere (Sperling & Kupfer), un libro dedicato all’impresa (eroica?) di far amare la lettura (sottotitolo: “come far crescere l’amore per i libri dai 5 agli 11 anni”). Ora Marcello Bramati è alla conclusione del terzo libro sulla scuola per genitori, stavolta tutto sull’orientamento, la scelta della scuola superiore.

Prof, come è andato quest’anno scolastico?

“I problemi della scuola sono molti e mettere l’istruzione al primo posto, come tutti si affrettato sempre a ribadire, significa in prima battuta avere la pazienza di indagare per conoscerli, farne esperienza, per capire come va; a tutto questo si è aggiunta la pandemia, per cui la scuola non è in gran forma, dopo un altro anno e più attaccata alle macchine. La scuola è sempre finita in prima pagina per la dinamica “in presenza-a distanza”, poi da aprile è scomparsa dai radar dell’informazione e dell’interesse generale, così è passato il concetto che comunque si fosse sistemato tutto. Non è così. La scuola non sta bene: classi troppo numerose, docenti sempre in affanno perché chiamati a essere burocrati più che studiosi, la passione soppiantata dall’omologazione. In questo contesto che ha ormai più di vent’anni, si è inserito il Covid. I ragazzi di ogni età, ma gli adolescenti in primo luogo, hanno vissuto due anni inenarrabili se non con il genere della fantascienza distopica”.

Come hanno vissuto i ragazzi di nuovo la scuola a distanza e a singhiozzo?

“I ragazzi hanno capito che non c’è lungimiranza decisionale nei confronti della scuola. Non è servito un corso accelerato di politica o di storia dell’istituzione scolastica, perché chi fa la scuola ha vissuto sulla propria pelle le indecisioni, le incertezze, i provvedimenti smentiti, i decreti della domenica sera per il lunedì, gli annunci sulla forma degli esami finali e sul peso delle valutazioni in grave ritardo sulla quotidianità. Anche l’ultimo giorno di scuola è stato spostato, a parole, più di una volta. Dirigenti e docenti si sono trovati a correggere il tiro, a rimodulare scadenze e impegni, a dover chiedere ai ragazzi uno sforzo di comprensione, uno ancora, un altro ancora, e poi ancora. Il grande dispiacere di questi mesi è stato quello di vedere negli sguardi dei ragazzi chiusi nelle loro camerette un senso di abbandono istituzionale che li ha fatti crescere, portandoli ad accettare di volta in volta situazioni eccezionali come fossero normali, abituandoli al fatto che “non può che essere così, non c’è niente che si possa fare, serve pazienza”. Pazienza che in realtà è accettazione passiva, non altro. Questo secondo anno “a distanza” ha sviluppato pigrizie e arrendevolezza perché con questi atteggiamenti spesso il tema scuola è stato affrontato. Poi ci sono certamente dirigenti, docenti e molti ragazzi che sono riusciti a dare il meglio, in classe come in DAD, ma se va fatta una riflessione ampia, non bisogna guardare alle oasi, o agli appigli, ma al quadro d’insieme che può essere sintetizzato con una videocamera spenta, o fissa, e un audio a scatti”.

Quali consigli si possono dare alla luce della sua esperienza?

“Esco dalla dinamica pandemica perché non sia l’argomento unico attraverso cui ragionare sulla scuola in questi anni, significherebbe nascondere altre questioni decisive. I libri che ho scritto in questi anni con Lorenzo Sanna, così come molti degli interventi di ‘Panorama’ sempre reperibili online, partono dall’idea che la scuola, dal basso, possa essere riformata e sia possibile trovarsi a resistere e a costruire e ricostruire anche in mezzo al naufragio della nostra scuola. Docenti, genitori e alunni possono collaborare per una scuola migliore, pensando al microcosmo in cui agiscono: si può fare molto nella propria zona d’azione con dialogo, esempio, progettazione, confronto, ascolto, fiducia, rispetto dei ruoli. Vale per lo studio, per la passione da trasmettere, per la lettura, vale per la scelta della scuola superiore e – tema più ampio – per l’educazione alla scelta. Questi i temi della mia produzione scritta, per libri e stampa. Sono frutto di buone pratiche, di ascolto, di esperienza e di osservazione, ma anche di riflessione. Un consiglio sintetico per chi vive la scuola è l’ottimismo educativo necessario per compiere il lungo viaggio. Poi certo, quando si riflette sull’istituzione scuola – anche di questo scrivo – il viaggio negli inferi va comunque compiuto”.

Insomma, la scuola italiana è un Inferno?

“Direi che se è necessario un viaggio agli inferi per ritrovarsi, i ragazzi lo stanno compiendo da qualche tempo e in periodo di pandemia ne sono divenuti coscienti. Nostro compito è non lasciare che lo facciano da soli, perché sarebbe fatale. Dante viaggia verso l’abisso, ne è cosciente, ma ha con sé Virgilio, così i nostri studenti necessitano di padri nobili che li confortino. Padri che sono famiglia, ma anche esempi professionali di come si sta a scuola, culturali per indicare la via dello studio come via di passione, di conoscenza, di amore per la bellezza, per la giustizia e la verità. Sono parole che vibrano e che risuonano come alte, perché in effetti lo sono, ma se non le associamo ai nostri ragazzi e alla nostra scuola, a cosa le dobbiamo accostare? Non accontentiamoci di avvicinare alla scuola solo termini come “sviluppo delle competenze”, “recupero in itinere”, “debito saldato”, “sanificazione degli ambienti”, “correre”. Scegliere i termini per cui spendersi porta verso la luce. O all’inferno. In merito all’ambiente in cui viviamo e ai termini che lo definiscono e che dovrebbero definirlo sto tenendo online, dai rispettivi profili Facebook e canali YouTube, diversi incontri di “lessico critico-politico-poetico” sulla società del terzo millennio e anche sulla scuola con Gianni Vacchelli, docente e scrittore che ha appena pubblicato L’inconscio è il mondo là fuori (Mimesis)”.

Quale strada tentare per uscire da questa bolgia?

“La strada è quella della consapevolezza, della ripartenza, del coraggio di mettere le belle parole (bellezza, sapienza, giustizia, verità) come punto d’arrivo per la nostra scuola che sia pietra angolare della società. Uscire dalla scuola infernale si può, ma serve un piano decennale di ricostruzione: una nuova edilizia scolastica, bella e che non sia solo arte del rammendo, classi molto meno numerose, perché in un gruppo classe di 15 emerge ogni singolo, ma in uno di 29, 32, 34 no. Costa, certo, ma la scuola è un costo di stato o ne vale la pena, costi quel che costi? Altro tema è quello di coltivare il rapporto con chi intende la scuola nel modo migliore: sopravvivere agli orrori costituendo la “social catena” di Leopardi; facciamoci trovare uniti nella sventura, collaboriamo nei rispettivi ruoli per rendere migliore la quotidianità di chi ha a che fare con noi”.

Ci ha insegnato qualcosa di buono la Dad o è tutta da buttare?

“Se buco in autostrada e monto il ruotino di scorta per arrivare a casa o dal primo gommista, certo sono contento di essere scampato a un incidente, ma non mi sento di ringraziare il ruotino per il compito svolto, né mi sogno di poterlo considerare una possibile alternativa percorribile per i prossimi viaggi. Lo utilizzo con lo scopo di uscirne vivo per poi rimetterlo nel baule al più presto. Ecco, vorrei che la Dad finisse in soffitta, senza doverle rendere nulla. Lo scorso anno la Dad è stata una valida supplente all’emergenza e ha evitato l’interruzione dell’anno scolastico, poi invece si è reimpossessata della scena anche perché assai comoda per eludere problemi logistici enormi legati alla scuola. La scuola è in presenza, e anche in presenza spesso non si è presenti, vivi, in sé. Figuriamoci con la Dad, che ci ha insegnato forse solamente che la scuola, per quanto bistrattata e tutta rammendata, se è deserta manca per il suo carico relazionale che porta con sé e di cui i ragazzi – prima ancora di chi ci lavora – non possono fare a meno”.

Un’ultima domanda, prof, come se lo immagina il prossimo anno scolastico? Si va in gita o no?

“Difficile esprimersi, la scuola è sempre così imprevedibile! In questi giorni peraltro ho potuto compiere tre uscite a Milano con studenti liceali che su base volontaria hanno accolto l’itinerario romano e poi manzoniano. Sono state tre mattine magnifiche, con ragazzi attenti e appassionati, coperti i volti dalle mascherine immancabili, con il caldo, ma finalmente insieme, con gli occhi indiscreti e curiosi della città addosso. Una gita? Ma esistono ancora le gite? Eravamo tutti un po’ in rodaggio alla ricerca di meccanismi antichi. È stato bello. Credo che il prossimo anno ci toccherà fare i conti con la quarta ondata e appunto toccherà gestirla, con vaccini ed esperienza dietro le spalle, per non esserne nuovamente travolti. Servirebbe un chiarimento immediato sulle modalità con cui i ragazzi affronteranno le valutazioni e la maturità, anche con decisioni forti – mantenendo l’esame come quest’anno? magari sarà così, per necessità, ma che si decida subito, a settembre – decisioni che consentano di progettare per davvero, senza dover sempre fare i conti all’ultimo con l’ennesimo buco nella rete che non tiene. Mi auguro un anno scolastico di ricostruzione, almeno dal basso. Siamo Enea scampati dalla città di Troia ancora in fiamme, con gli studenti per mano e il passato da salvare sulle spalle. Le macerie ci sono tutte, ora serve iniziare il viaggio verso una nuova scuola, e servirà il contributo di tutti”.