Dopo lo sfratto, il periodico fondato da Piero Calamandrei nel 1945 traslocherà in una nuova sede con i 2000 volumi della biblioteca
di Fulvio Paloscia
FIRENZE
Il debole fiato di una stufa combatteva a stento contro il freddo. Aria di abbandono. Eppure quelli de Il Ponte , la rivista di area socialista fondata a Firenze nell’aprile del 1945 da Piero Calamandrei, nelle stanze fatiscenti della Società di mutuo soccorso “Andrea del Sarto” si sentivano al loro posto. Perché quel luogo raccontava una storia in linea con gli ideali di una pubblicazione a tematica politica, nata sui principi della Resistenza, dell’antifascismo. La palazzina dove la redazione e l’archivio avevano sede sino a ieri (giorno dello sfratto esecutivo dato dal Comune, proprietario dell’immobile, per morosità pregressa e la «mancanza di titolo all’uso da parte dell’associazione che gestiva il circolo », recitano le carte), dal 1887 fu casa operaia. Poi, i fascisti se ne appropriano nel 1925, e nella stanza dove sono nati i numeri bimestrali de Il Ponte , si puniva con l’olio di ricino chi non obbediva al regime. «Qui riverbera un sacrificio e una ribellione che sono la nostra origine » ripete lo storico Marcello Rossi, attuale direttore de Il Ponte , che non nasconde un divertito imbarazzo riguardo le disavventure tra i gestori del circolo e il Comune. Tra i suoi allievi, al liceo, c’è stato infatti il sindaco Dario Nardella che, il giorno prima dello sfratto, gli ha telefonato assicurando una nuova casa a tempo di record. Così in effetti è stato: ci sono già i locali per una redazione provvisoria (alla Fondazione di studi storici Filippo Turati, nel centro di Firenze) ed è stata individuata pure una sede fissa dove traslocare anche i duemila volumi della biblioteca storica, ma la soluzione è in via di perfezionamento. La sopravvivenza della rivista, intanto, è certa.
L’Andrea del Sarto non era la sede storica della pubblicazione. Anzi, Il Ponte ha dietro le spalle un lungo nomadismo nelle case editrici fiorentine: Le Monnier, La Nuova Italia grazie a Tristano Codignola, che insieme a Enzo Enriques Agnoletti, fu una delle colonne della pubblicazione; e ancora Vallecchi, Passigli, fino alla casa del popolo. Il comfort logistico e ideologico non è mai stato l’obiettivo della creatura di Calamandrei che, ricorda Rossi, attraverso Il Pont e , «pungolava la classe politica italiana sul tema scomodo ma reale della Costituzione inattuata, inerte se non alimentata dal combustibile dell’impegno di chi governa. Un’argomentazione che abbracciamo ancora oggi». Da quella posizione si dipana il filo rosso di tante “battaglie” della rivista. Il nemico numero uno? «La Dc e i suoi derivati. Secondo Calamandrei, non un partito democratico, ma un fascismo di ritorno». E l’accusa di “democristianizzazione” del Psi porta, nel 1981, al taglio netto con Craxi: «Per assicurarsi il potere fece i suoi i modi della Dc, rappresentando di fatto la soluzione finale del socialismo in Italia, la cui agonia però era iniziata da tempo». Risultato: Craxi espelle dal partito chi gravita intorno al Ponte , «del resto nel suo fare politica già si intuiva l’inclinazione al potere indiscutibile del leader, concetto che poi sarebbe esploso con Berlusconi e il berlusconismo. Come poteva Il Ponte , custode della Costituzione e vicina a Capitini, alla sua visione corale della storia, al suo ideale di democrazia dal basso, assistere inerme alla nascita di un partito personale (dunque antidemocratico), poi diventata triste prassi della politica italiana?» sostiene Rossi.
Di posizioni discusse e scomode è fatta la storia de Il Ponte . Anche sotto la guida di Enzo Enriques Agnoletti, attento alla politica estera «con grande creatività e senza trasformismo»: la rivista condanna la guerra in Vietnam («oggi possiamo parlare di lungimiranza»), si schiera a favore della Palestina nella questione arabo-israeliana «nonostante l’origine ebrea di Enzo, che però non era osservante. Non si ricorderà mai abbastanza il suo rigore» mormora Rossi. Diventato direttore per volontà testamentaria dello stesso suo amico, mentore, guida.
E oggi, con 78 anni di vita dietro le spalle «testimoni del passaggio dal centrismo al centrosinistra, e della sua attuale crisi» sottolinea Rossi (e ricorda: «i 75 ci hanno portato in regalo un telegramma dove il presidente Mattarella sottolinea il nostro contributo alla crescita democratica dell’Italia») cos’è Il Ponte ? Una rivista che da mensile è stata costretta alla bimestralità per questioni economiche. Un migliaio di copie, 700 distribuite in abbonamento anche all’estero (fino agli Stati Uniti e alla Cina) «ma i proventi sono minimi — allarga le braccia il direttore — ci siamo abituati, è sempre stato così. A Enriques Agnoletti proposi di chiedere sovvenzioni al Pci, che sentivamo vicino, ma il suo no fu una grande lezione: che ne sarebbe stata della nostra indipendenza?». E ancora, tra le pagine dove hanno militato firme quali Walter e Lanfranco Binni, Noam Chomsky, Cesare Luporini, Gaetano Salvemini, Umberto Segre, Sebastiano Timpanaro, ancora oggi turbinano domande come «cos’è stato il socialismo italiano? In fondo, è davvero esistito?».
Rossi fa fatica a inquadrare persino Calamandrei, «un liberale di sinistra che però riuscì a percepire tutta una serie di temi propri del liberalsocialismo. Penso al rifiuto del Patto Atlantico perché, diceva, avrebbe compromesso la libertà dell’Italia dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica». Oggi Il Ponte, conclude il direttore, «traduce il liberalsocialismo delle origini in socialismo libertario. Perché quel “liberal” per me non deriva da liberale. Ma da libertà».
Un patrimonio nazionale Qui sopra, il primo numero della rivista Il Ponte, fondata a Firenze e edita dall’aprile del 1945.