La disputa tra Delrio e Minniti sull’immigrazione, il ruolo delle Ong e la limitazione degli sbarchi e dei salvataggi dei naufraghi nel Canale di Sicilia – che ha motivato l’intervento del presidente della Repubblica Mattarella – non può essere superficialmente archiviata come un normale braccio di ferro tra ministri dello stesso partito. Anche se non va più di moda discutere di rapporti tra politica e cultura, s’è trattato, infatti, di un caratteristico scontro culturale tra le due principali anime del Pd. Quella del ministro Delrio dispiaciutosi, ma sotto sotto neppure tanto, di essere stato considerato un «cattolico terzomondista», per aver difeso il salvataggio operato dalla guardia costiera di migranti recuperati da una delle Ong ribellatesi al «codice» di Minniti – è l’anima di ritorno della sinistra democristiana, la corrente più coriacea del partitone architrave della Prima Repubblica, che ha resistito a qualsiasi diaspora e funziona ancora come una rete inossidabile, fatta di fili invisibili che si intrecciano tra politica e economia, tra istituzioni, banche, imprese, e collegamenti internazionali. Fiaccata dall’indebolimento degli addentellati d’Oltretevere, dopo l’elezione del terzo Papa straniero negli ultimi quarant’anni (ma non dei legami con i parroci di base e con il mondo cattolico nella società civile, pur scontando molte libere uscite verso i 5 stelle), la sinistra democristiana sopravvive a se stessa, non solo, come si penserebbe, grazie a una consistente quota di potere e a personalità fra loro diverse, come quelle del Capo dello Stato o dell’ex premier Romano Prodi, o ancora, per certi versi, dell’ex segretario Dc Ciriaco De Mita, distintosi nella campagna per il «No» al referendum, o del ministro della Cultura Dario Franceschini, in cauta manovra di allontanamento dal centro renziano del partito, o della presidente dell’Antimafia Rosi Bindi, o dell’alleato di Pisapia Bruno Tabacci, oppure, su tutt’altro piano, del capo della Polizia Franco Gabrielli (ma se parliamo di altissimi funzionari, l’elenco, non soltanto nell’apparato della sicurezza, potrebbe essere molto lungo). Ciò che la tiene insieme e ne fa ancora un partito nel partito e una sorta di partito-Stato (anche se diverso, ovviamente, dalla Dc dei suoi tempi migliori) non sono i posti occupati nella gerarchia delle istituzioni, ma paradossalmente le idee: l’architettura classica del pensiero del cattolicesimo democratico liberale, l’attenzione alla persona, la solidarietà come valore, la concezione della politica fondata sulla mediazione, ma non sui compromessi a qualsiasi livello (nei caminetti democristiani, alla fine, era ciò che la distingueva dai dorotei, e fu alla base della scelta della fermezza con le Brigate rosse che costò la vita ad Aldo Moro). Ma soprattutto c’è la convinzione che siano queste le ragioni per cui il Pd è nato e dovrebbe battersi, l’impalcatura ideale alla quale dovrebbe adeguarsi anche la componente post-comunista del partito, quella sì sopravvissuta a una sconfitta della storia, spesso priva di ancoraggi culturali, talvolta abbandonata a una sorta di empirismo senza principi. Da questo punto di vista il comunicato informale con cui il Quirinale è intervenuto nella polemica tra i due ministri forse troppo sbrigativamente è stato interpretato come un uno a zero per Minniti. Sollecitato da Gentiloni, trovatosi a gestire l’imprevedibile protesta del ministro dell’Interno che non si era presentato al consiglio dei ministri, Mattarella ha voluto confermare il suo appoggio all’azione amministrativodiplomatica del Viminale, ma senza entrare nel merito delle riserve di Delrio e lasciando trapelare il suo fastidio per il tentativo di approfittare in chiave elettorale di un problema drammatico come quello dell’immigrazione. Il «sì» a Minniti riguardava il suo tentativo di razionalizzare gli interventi nel Canale di Sicilia, non conteneva un via libera incondizionato, e men che mai alla linea del «costi quel che costi», in competizione con la destra, per affrontare cercando di risolverlo il problema degli sbarchi. Rispetto al quale rigore e solidarietà umana, a giudizio del Colle, restano inevitabilmente i due binari su cui il governo, ma anche Renzi, farebbero bene a muoversi: senza cedere a tentazioni di propaganda, malgrado il periodo elettorale, e adoperandosi, come amava dire proprio Moro, per trovare una «sintesi alta» tra sicurezza e aiuto umanitario.
La Stampa – MARCELLO SORGI – 09/08/2017 pg. 1 ed. Nazionale.