di Sabino Cassese
Non bisogna far marcia indietro sulla proposta di riforma costituzionale. Questa prevede una forte riduzione del bicameralismo parlamentare e un modesto rafforzamento del governo. Il primo obiettivo è raggiunto svuotando di funzioni il Senato, riducendo il numero dei senatori e rendendone l’elezione indiretta. Il secondo obiettivo affidando solo alla Camera dei deputati il compito di dare la fiducia al governo e dando una corsia preferenziale alle proposte di legge del governo.
Ambedue questi obiettivi erano tra le proposte di coloro che prepararono la Costituzione del 1948. Questi sapevano bene che da quando Tocqueville, in Francia, nel 1848, si batteva per il bicameralismo le cose erano cambiate. Ad esempio, Massimo Severo Giannini, capo di gabinetto di Nenni al Ministero per la costituente e testa pensante del partito socialista, nell’aprile 1946, propose al congresso fiorentino del partito un sistema monocamerale, notando che «in tutti i casi in cui la seconda camera non è stata rappresentativa di determinati gruppi o interessi politici, regolarmente essa ha fatto fallimento». «D’altra parte, la funzione moderatrice che alcuni attribuiscono alla seconda camera, nella maggioranza dei casi, risponde più ad una affermazione che a una realtà; anzi, molto spesso è una deformazione ottica».
Oggi possiamo aggiungere che nel nostro sistema politico gli strumenti del pluralismo e gli istituti destinati a bilanciare i poteri, ad evitare l’eccessiva loro concentrazione in un solo organo, si sono moltiplicati. Molti poteri sono stati deferiti all’Unione Europea e alle Regioni, che agiscono da contropoteri, condizionano e frenano l’azione del complesso Parlamento-governo. Che bisogno c’è dunque, dello sdoppiamento dell’assemblea legislativa in due camere con eguali poteri? Non si finisce così per frammentare eccessivamente l’azione di governo, e qualche volta per rendere i governi impotenti?
Anche il secondo obiettivo, quello di rafforzamento del governo, era tra le aspirazioni dei nostri costituenti. Piero Calamandrei osservò il 4 marzo 1947 all’Assemblea costituente: «Di questo, che è il fondamentale problema della democrazia, cioè il problema della stabilità del governo, nel progetto della Costituzione non c’è quasi nulla». Come lui, anche Mortati e Perassi, democristiani e repubblicani, non volevano un sistema parlamentare puro con governi instabili. Sapevano che il fascismo non era stato il prodotto di esecutivi forti, ma della debolezza dei governi precari e transeunti del periodo liberale.
Oggi di governi che abbiano una base meno fragile e maggiore durata, e che assicurino continuità alle politiche pubbliche c’è ancor più bisogno, se vogliamo partecipare a quel grande condominio che è l’Unione Europea, nel quale non ci possiamo permettere di mandare un ministro nuovo ogni anno, mentre le altre nazioni sono rappresentate dalla stessa persona almeno per la durata della legislatura, per cinque anni.
I politici attardati che vorrebbero fare marcia indietro sulla riforma costituzionale aspirano a togliere forza al potere della maggioranza, con la conseguenza che nessuno governa, mentre dovrebbero invece dare voce e potere alla minoranza, perché questa possa tenere sotto controllo la maggioranza, per poter poi aspirare a diventare essa stessa maggioranza.
Ripetono così lo storico errore di De Gasperi e di Togliatti, ciascuno timoroso della prevalenza dell’altro e quindi ambedue favorevoli a indebolire l’azione della maggioranza e del governo. Così venne creata una democrazia forte con maggioranze deboli, che finiscono per infiacchire la democrazia.
Dopo sessanta anni, finita la Guerra fredda e la divisione del mondo in due parti, dopo che si sono sviluppate le istituzioni del pluralismo ed è scomparso lo Stato monolite, la coscienza democratica dei cittadini è divenuta più matura, il dibattito pubblico più aperto, i mezzi di comunicazione più rapidi, la gestione pubblica più trasparente, il potere più decentrato, non bisogna buttare sabbia nelle ruote della maggioranza, ma invece consolidare il ruolo delle minoranze, dando loro uno statuto legale riconosciuto, rafforzare il compito di controllo della seconda camera, moltiplicare gli strumenti conoscitivi delle stesse minoranze non rappresentate in Parlamento.