- «Un francese su tre è di estrema destra. Io no. Perché devo sentirmi invisibile?». Ferdinand Rousseau è un attivista del movimento per il clima Youth for climate, ha 15 anni. In piazza della Bastiglia, il luogo simbolo della rivoluzione francese, Rousseau tenta la rivoluzione più difficile oggi in Francia: «Farsi sentire, ottenere rappresentanza».
- La probabilità che al primo turno delle presidenziali non sopravvivano candidati né di sinistra né ecologisti è molto forte. È altrettanto probabile che siano gli elettori a unire a modo loro l’infragilito campo progressista e la sua pletora di candidati incapaci di convergere: in tanti opteranno per Jean-Luc Mélenchon come «voto utile».
- Comunque vada, l’esito di queste elezioni è che le istanze portate in piazza della Bastiglia – dal clima alla giustizia sociale, dal femminismo al diritto alla casa – sono finite silenziate nell’agone politico. Una storia che comincia almeno dieci anni fa. «Rimettiamo le lotte ecologiche e sociali al centro del dibattito!», dicono i ragazzi della “Marcia per il futuro”. Il presente li taglia fuori, mentre i sondaggisti pronosticano una vincitrice certa: l’astensione.
«Un francese su tre è di estrema destra. Io no. Perché devo sentirmi invisibile?». Ferdinand Rousseau è un attivista del movimento per il clima Youth for climate, ha 15 anni e un megafono a tracolla. In piazza della Bastiglia, il luogo simbolo della rivoluzione francese, Rousseau tenta la rivoluzione più difficile oggi in Francia: «Farsi sentire, ottenere rappresentanza».
La probabilità che al primo turno delle presidenziali francesi non sopravvivano candidati né di sinistra né ecologisti è molto forte: lo schema più accreditato per il ballottaggio è Emmanuel Macron contro Marine Le Pen. È altrettanto probabile che siano gli elettori, oggi, a unire a modo loro l’infragilito campo progressista e la sua pletora di candidati incapaci di convergere: in tanti opteranno per Jean-Luc Mélenchon inteso come «voto utile». Il leader della France insoumise è quello che, a sinistra, ha più chance di passare al ballottaggio: ha oltre il 17 per cento nei sondaggi.
Ma comunque vada, l’esito di queste elezioni è che le istanze portate in piazza della Bastiglia alla vigilia del voto – dal clima alla giustizia sociale, dal femminismo al diritto alla casa – sono finite silenziate nell’agone politico. «Rimettiamo le lotte ecologiche e sociali al centro del dibattito!», dicono i ragazzi della “Marcia per il futuro”. Il presente li ha tagliati fuori. I sondaggisti pronosticano una vincitrice certa: l’astensione potrebbe raggiungere il 30 per cento.
LA GRANDE DELUSIONE
«Tutto comincia dal 2012», dice Jonathan Bouchet Petersen, cronista politico di Libération. Ha iniziato a lavorare per il quotidiano francese proprio alle presidenziali di dieci anni fa. «François Hollande, il candidato socialista dell’epoca, aveva catalizzato grandi speranze sul ritorno della sinistra al potere. Ma da presidente ha tradito il suo popolo, a cominciare dalla sua politica economica e sociale. Ancora paghiamo le conseguenze del suo mandato».
Nel 2017 il socialista Benoît Hamon si ferma al sei per cento; oggi nei sondaggi Anne Hidalgo, la socialista in corsa, raggiunge a fatica i due punti. «L’offerta politica centrista di Macron ha assorbito quel campo riformista. Ma non è stato Macron a uccidere il partito socialista: ha solo raccolto i frutti di una crisi già matura».
Oggi chi vuole votare un candidato di sinistra o ecologista trova molti nomi in lista, e molte poche chance di vittoria. Yannick Jadot, nonostante le speranze di un’onda verde tenute in vita anche alle ultime elezioni comunali e regionali, non supera il 5 per cento.
IL «VOTO UTILE»
«Questo è anche l’effetto perverso della riforma del 2002, che ha messo in secondo piano le elezioni legislative: ormai è tutto concentrato sulle presidenziali», è l’analisi del politologo Frédéric Sawicki. Il tentativo di unificare il fronte progressista, anche attraverso primarie organizzate dal basso, come la primaire populaire, si è concluso solo con un’ennesima candidatura, poi ritirata, di Christiane Taubira.
Uno degli animatori di quell’esperienza, Samuel Grzybowski ha deciso a ridosso del voto di schierarsi per Mélenchon «così la sinistra può farcela». In tanti arrivano alla stessa conclusione: candidati come Hidalgo e Jadot fino all’ultimo hanno fatto campagna contro il competitor Mélenchon più che contro la destra, sperando di accaparrarsi qualche voto in più; invece gli elettori puntano a far sopravvivere al secondo turno il candidato con più chance. Dal mondo intellettuale c’è chi lo dichiara: «Ho votato verde per tutta la vita – fa sapere lo scrittore e regista Cyril Dion – ma l’unica possibilità per arginare l’estrema destra e dare una chance a una politica ecologica è votare Mélenchon».
IL CLIMA È CAMBIATO
Il clima è tra i grandi esclusi di queste presidenziali: lo spazio che i media hanno riservato a questo tema di campagna arriva a stento al 5 per cento. I candidati fanno altrettanto, e Greenpeace France, che ha dato le pagelle ai loro programmi, promuove solo Mélenchon e Jadot; il primo è più radicale del secondo.
Macron, protagonista in Ue di una battaglia di retroguardia per etichettare come “verdi” gas e nucleare, non ha rispettato gli impegni presi per il quinquennato, e per il prossimo non fa grandi promesse. Marine Le Pen arriva ad attaccare le misure a favore del clima: vuol smantellare le pale eoliche, per dirne una. Se ad andare al secondo turno sarà solo la destra, di varia sfumatura, le istanze dei giovani come Ferdinand resteranno inascoltate.
Eppure il clima è tra i temi che più stanno a cuore ai francesi, più dell’immigrazione. «Ma non si parla che di questo: di immigrazione, facendo il gioco della destra», dice Ferdinand. «Con lo scoppio della guerra poi c’è stato un alibi per parlarne ancor meno. Davvero poi ci si stupisce che i giovani non si sentano rappresentati?». Bouchet Petersen riassume la questione così: «Non è che i ragazzi non si interessino più alla politica, sono gli esponenti politici che non sono più in grado di interessarli». Per lui che di politica scrive tutti i giorni, «è evidente che la coscienza ecologica nell’ultimo decennio è cresciuta, e ci sono tanti giovani impegnati in specifici temi di lotta; il punto è che quei temi e quelle lotte non trovano sbocco».
SENZA RAPPRESENTANZA
Anna Kotelnikov è tra i più giovani, alla Bastiglia. Ha un cartello che dice: «I nostri corpi non ti appartengono». E racconta che «sono impegnata su vari fronti: sono femminista, suono il violino in un’orchestra per il clima che si chiama Orchestre du nouveau monde». A pochi metri da lei, ci sono gli attivisti per il diritto alla casa. Il senso di scollamento tra classe politica e istanze sociali va ben oltre piazza della Bastiglia, o i movimenti di nuova generazione: è percepito anche nelle storiche organizzazioni sindacali, come la Confédération général du travail (Cgt), uno dei principali sindacati del paese.
Boris Plazzi, il responsabile internazionale di Cgt, racconta che «la campagna è iniziata molto male: i temi sociali, salari, servizi pubblici, le preoccupazioni dei lavoratori sono rimasti tagliati fuori, tutto era incentrato sull’immigrazione. Nell’ultima fase è tornato alla ribalta il tema del potere d’acquisto. Ma questa frammentazione del mondo progressista per me è sinonimo di cattivi risultati: il rischio forte è che ancora una volta al ballottaggio la sinistra scompaia». Ci sono poi i tanti che si astengono, «e sono soprattutto i giovani dai 18 ai 25 anni e chi vive nei quartieri popolari: considerano che i politici non cambino il loro quotidiano, il che è inquietante».