di Ilaria Zaffino
Sembrano immagini scattate in questi giorni di pandemia invece è il progetto che Armando Rotoletti ha realizzato tre anni fa in Sicilia. Svuotando gli spazi urbani
per restituire loro l’antico splendore
Con il suo lavoro ha anticipato quel che adesso, drammaticamente, è sotto gli occhi di tutti. Gli ci è voluto un anno e tanta fatica per realizzare un’impresa che fino a un mese fa sembrava un’utopia: svuotare le piazze per fotografarle in un ritorno alle origini e alla loro primaria funzione di cornice scenografica. Il virus, al contrario, ha fatto in un attimo. In tutto il mondo. Armando Rotoletti, una carriera trentennale di fotoreporter alle spalle, ritrattista di personaggi, tre anni fa dedicò alla sua Sicilia – da cui emigrò giovanissimo per seguire il sogno di fotografo – uno dei suoi lavori più belli. E visto oggi potremmo dire profetico.
Per il suo progetto Sicilia in piazza, che è diventato anche un libro, ha girato per mesi l’isola in largo e lungo per immortalare ottantadue delle sue piazze più belle completamente sgomberate dalla presenza dell’uomo. Piccole, grandi, strette, larghe, in cemento, in travertino, con una fontana al centro, oppure un vaso, un lampione, una scultura incomprensibile. Piazze bellissime, autentici capolavori dell’architettura barocca come quella che a Ispica, provincia di Ragusa, ingloba la settecentesca basilica di Santa Maria Maggiore e il porticato ellittico in stile rococò, che tanto ricorda il colonnato del Bernini in piazza San Pietro a Roma, svuotata anch’essa, in questi giorni, dal coronavirus come le piazze siciliane che vediamo immortalate in queste foto.
Ma da dove viene l’idea, potremmo dire in tempi non sospetti, di restituirci questi spazi imponenti completamente svuotati, quasi ripuliti dal passaggio dell’uomo? Messinese di origine, milanese di adozione, dopo un soggiorno a Londra per studiare fotografia, Rotoletti confessa di aver girato la Sicilia per intero almeno venti volte nel corso della sua carriera e proprio durante queste “incursioni” sul territorio ha potuto toccare con mano lo stato in cui versavano quegli spazi da sempre deputati alla socialità, luoghi di discussione e incontro, come nella migliore tradizione dell’agorà greca o del foro romano. « Ovunque regnava un senso di colpevole abbandono: auto parcheggiate in modo selvaggio, sedie, tavolini e ombrelloni dei bar che riempivano lo spazio, per non parlare delle strutture provvisorie montate per eventi occasionali e poi lasciate lì nell’incuria più totale », racconta oggi riguardando quelle foto che sembrano diventate all’improvviso di struggente attualità. «Dopo aver scelto le piazze mi sono accorto che a vederle così, invase com’erano da tutto ciò che ne stravolgeva la fisionomia, non solo erano praticamente infotografabili, ma perdevano la stessa funzione per la quale erano state pensate». Da lì l’idea di farle sgomberare. La parte più difficile dell’intera impresa è stata proprio quella di contattare le amministrazioni locali, richiedere i permessi, ripulire gli spazi: « Per fotografare la piazza del duomo di Siracusa» ricorda «sono diventato spazzino anch’io».
Liberata dalla presenza dell’uomo la piazza recupera in bellezza, è vero, ma non rischia di perdere in vitalità? «Le mie piazze sono vuote sì, ma per essere riempite di nuovo senso. Ho voluto che contenessero solo l’idea originaria di chi le aveva pensate e costruite. Sono lì che aspettano le persone. Non ammettono auto, né cartelli, né corti di ombrelloni che nascondono alla vista la loro eloquente nudità » , continua il fotografo. « La funzione principale della piazza è creare comunità. E così vuote evocano con ancora più forza questo senso di comunità ». Anche Salvatore Settis, che ha firmato la prefazione al libro di Rotoletti, ha riconosciuto il valore indubbio di queste immagini da lui definite quasi «eroiche», perché «restituiscono alla piazza la sua funzione primaria» e nello stesso tempo veicolano un messaggio di speranza, tanto più utile in questi tempi. «Il messaggio che ho voluto dare io svuotandole», conclude Rotoletti, «e quello che allo stesso modo il coronavirus ci sta mettendo davanti agli occhi in questo momento è che questi spazi comuni hanno bisogno di attenzione e di cura, da parte di tutti noi. Quando l’emergenza sarà finita mi piacerebbe che, tutti insieme, potessimo ripartire da qui».