L’orologio da tasca può essere impiegato sia a misurare lo stress sia la pigrizia. Georg Simmel in quello scintillante saggio che è “Le metropoli e la vita dello spirito” ha evidenziato già all’imbocco del secolo scorso, 1903, il fatto che il carattere della vita nervosa (Nervenleben) origina dall’attivismo impresso dalla natura intellettivo-calcolatrice del denaro (Das Geld): un modo kantiano e alto-filosofico tedesco di enucleare ciò che gli anglosassoni sintetizzano con la frasetta “Time is money”. L’intensificarsi della Nervenleben fu accentuata secondo Simmel dalla diffusione dell’orologio da tasca (il “portatile” dell’epoca, prima c’erano solo le pendole in casa e i campanili fuori) che indusse all’ incremento doloroso del “consumo di coscienza”, fatto psichico che gli angloamericani chiameranno ed esporteranno col termine “stress”.
Ora, già Simmel evidenziava il diverso passo assunto dalla Nervenleben nella Metropoli, dove il Denaro celebra in gran tripudio i suoi sacrifici umani, rispetto alla provincia, dai ritmi più lenti e sonnolenti. (L’esperienza mi ha condotto a verificare di persona questa piccola verità quando dal centro di Milano andai a lavorare nel centro di Brescia, ove scoprii con gran sorpresa che a mezzogiorno tutte le attività cessavano per la “pausa pranzo”!. Ciò non vuol dire che quei molossi dei bresciani lavorino di meno, tutt’altro, ma hanno altro costume urbano).
Al fine di stendere un saggetto ameno sulla tematica velocità/lentezza ho cominciato a repertare un po’ di materiale letterario. La mente mi è corsa alle vecchie letture brancatiane dove sapevo di trovare spunti in difesa della lentezza, della cronometrazione non della velocità ma dello sbadiglio, della pigrizia. In questo contesto l’orologio serviva a cronometrare ai vitelloni di provincia (“Gli anni perduti”) a calcolare il tempo esatto impiegato dal Notaio Scannapieco nel mettere le mani in tasca, cavarne le chiavi e metterle nella toppa del portone di casa, togliersi il cappello, varcare il portone e chiuderlo: un minuto e 23 secondi, invariabilmente. (Passo che ricordo a mente).
In “In cerca di un sì” del ’36, si legge:
Le strade si facevano deserte, e gli orologi, più rossi che mai nel cavo del cielo, avevano già la spera corta sul lato sinistro. Le ultime rosticcerie, che tenessero ancora la porta socchiusa mandavano più sbadigli che odore di frittura: muovevano piene di sonno fra i piatti in cui i castelli di olive e di sardine non eran più che rovine, e quei piatti riversavano l’uno nell’altro e chiudevano a vicenda; i garzoni buttavano secchie d’acqua sul pavimento; il cassiere lasciava la cassa; le serve smettevano il grembiule; tutto insomma faceva che nessun uomo avesse più appetito in città.
[Tra parentesi: descrizioni lentissime che corrispondono a stili di vita ormai perenti: chissà quali tagli apportebbero qui le scuole di creative writing].
Mentre ne “L’orologio di Verga” sottolineo questi passi.
La vitalità degli uomini, che danno un sapore sempre più profondo alle abitudini, non è inferiore a quella degli attivisti; se addirittura non è più forte. Il quaderno delle cose non è scritto soltanto sulla prima pagina, e per sfogliarlo sino in fondo bisogna che la stessa cosa ci passi davanti agli occhi per anni; a ogni suo passaggio, ne voltiamo una pagina
Naturalmente non si può preferire lo sciocco seduto all’uomo intelligente che si muove spinto dalla curiosità e dal desiderio di operare. Ma l’errore consiste nel far coincidere la vita sedentaria e di provincia con la stupidità o, almeno, con l’ignoranza. Fra le persone che, alle cinque del pomeriggio, arrivano al circolo e porgono il cappello al vecchio cameriere che ha già collocato la solita sedia davanti alla porta a vetri, ve ne può essere una che, sentendo la solita frase: «Cavaliere, la sedia è pronta», approfondisce di due o tre parole immortali la conoscenza di un sentimento.
La vita, possiamo intensificarla in due modi: o cambiandone continuamente l’aspetto con viaggi, avventure, peripezie, novità, o dando alle abitudini una precisione da orologio, agli stessi incontri, agli stessi saluti, alle stesse parole un significato sempre più intimo. C’è il piacere di svegliarsi all’alba con un paesaggio del tutto sconosciuto davanti all’occhio della cabina, e c’è il piacere di andare a sedersi davanti alla porta del circolo sempre nella stessa sedia e alla stessa ora del pomeriggio. Il primo è di natura romantica, il secondo direi quasi di natura classica se per una volta la parola classico e la parola meridionale potessero coincidere completamente.
Brancati fa l’elogio dello sbadiglio, l’elegia della pigrizia, ma per capire il contesto della sua scrittura si deve ricordare che molta borghesia etnea era alimentata dalla pigra rendita agricola legata ai cicli lenti della natura e non dal “nervoso” e urbano profitto. Ritorna perciò il tema del Denaro di Simmel. In ogni caso la domanda di fondo è: com’è che si guadagna da vivere il piccolo mondo antico della provincia? Ultima osservazione: se sai leggere, nella letteratura c’è la storia del mondo, quello esteriore e soprattutto quello interiore… Ma per sapere leggere occorrerebbero o una scuola di lettura creativa o i tempi interiori lenti della massima che ci scambiavamo nel nostro provinciale spagnolo-mexicano orecchiato: “Tequila, tiempo y salud para saborearla siempre”. Dove a posto di tequila dovete mettere “lettura”.
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