di Germana Marchese
Talora un’infedeltà o un tradimento necessario possono trasformarsi in atti di speranza, boccate di ottimismo ed in certi casi, lo spazio per il nuovo cresce attraverso la metamorfosi traumatica, l’abbandono sofferto di vecchi stati e la ricerca di nuovo equilibrio.
Nel caso della politica locale però, reali fenomeni di trasformazione non si sono visti ed i tentativi promessi di lasciare il vecchio non attenuano la noiosa sensazione di un corto circuito permanente tra governanti e governati, uno spaesamento da morfogenesi kafkiana che deriva, non solo dalla crisi sistemica, ma dal vuoto progettuale, aggravato da un invecchiamento dei processi di rappresentanza che stanno trasformando in palude stagnante i desideri e le energie positive.
Storditi dalla pervasiva complessità delle mutazioni antropologiche, ambientali e socio economiche, non si era alla ricerca di intuizioni profetiche per Siena ma più semplicemente di una buona amministrazione, capace di tradurre nei fatti un progetto di sviluppo locale di lungo respiro. Governare il cambiamento implica uno sforzo altamente dinamico perché oggi più che mai presuppone una nuova capacità di guardare all’interno dei processi di riorganizzazione e dissoluzione del potere. Non è più richiesto un semplice approccio analitico, dal momento che bisogna imparare a gestire le velocissime trasformazioni in atto, mantenendo ferme le proprie identità. Dunque è uno sforzo altamente creativo.
In questa nuova dimensione esistenziale, l’ineffabile spesso mette a dura prova la governabilità dei fenomeni. Onestamente, sul piano delle relazioni politiche, non era più pensabile una prospettiva leaderista, decisionista, così come non appare credibile resuscitare nostalgicamente i partiti novecenteschi con sezioni, cellule, militanti. Le vecchie regole della rappresentanza hanno ormai lasciato il posto a mobilitazioni estremamente fluide, meno organizzate, più dispersive (volontariato, associazionismo, partecipazione digitale, mutuo soccorso sociale) con le quali amministratori accorti devono prudentemente fare i conti, tentando di mantenere vivo lo spirito identitario.
Sotto il profilo del costume e della preparazione, l’impoverimento delle classi dirigenti ha avuto una ricaduta negativa sulle nuove generazioni che male sopportano la pressione della vecchia gerontocrazia, con la mentalità del successo ancorato alle relazioni, ai buoni rapporti con il politico di turno ed in senso ancora più deteriore, alle raccomandazioni dei poteri forti. Questa insofferenza dilagante, sempre più legata alla mancanza di prospettive occupazionali, provoca esodi continui e pericolosa disaffezione alla vita partecipata. Bisogna fare attenzione però, perchè lo stress causato dall’inquietudine, contiene una progressiva evoluzione di stato, una rielaborazione dell’identità, alla ricerca disperata di rinnovato benessere.
Eppure, nonostante certe evidenti mutazioni dei fondamentali, la politica è rimasta indietro di decenni, visto che far parte di un consiglio elettivo, senza scegliere mai con chiarezza con quale squadra stare, sulla base di quali soluzioni proposte, resta la strada più facile per cercare pubblicità, mantenere affari e potere.
In queste condizioni è difficile che avvenga fisiologico ricambio e progresso di alcun tipo. La politica amministrativa non riuscirà a proiettarsi in avanti e continuerà a difendere interessi parziali, protetti dai soliti consensi. In sostanza rimarrà stretta in una permanente ambiguità dinamica, ribaltando di volta in volta la propria reazione di fronte ai mutamenti esterni. Così come Gregor Samsa alcuni rappresentanti politici, “svegliatisi una mattina da sogni agitati” si ritrovano trasformati in civici o viceversa, in preda a dolorose agitazioni.
Un buon antidoto al rischio di restare incastrati nelle maglie di una amministrazione vecchio stampo, troppo volubile e schiacciata sul presente, dovrebbe provenire da una nuova etica della responsabilità che, in una dimensione più locale della politica, riesca a produrre al suo interno energia magnetica e mobilitazione collettiva. Questo processo iniziale è alla base di qualsiasi reale cambiamento e di solito fa leva sulle forze che agiscono nel vivo dell’impegno sociale e della vita comunitaria, a partire dai rappresentanti istituzionali. Purtroppo la litigiosità, lo spirito fazioso, le cadute di stile e gli esempi negativi raccolti anche in questo ultimo anno di governo locale, inducono ad una reazione sociale di disturbo, di non appartenenza che resta ancora ostinatamente inascoltata.
In quest’ottica, restiamo tutti consapevoli che il lancio della bottiglietta del consigliere Forzoni ed il rifiuto delle sue dimissioni dal Consiglio non causeranno in sè la scomparsa del futuro dall’ orizzonte delle nuove generazioni ma resteranno pur sempre un segnale inequivocabile di questa pericolosa assuefazione al deficit di responsabilità.
Allo stesso modo la mancanza di valore, anche aggregante, di una proposta amministrativa, sbobinata con le solite vecchie manovre e camuffata da ipocriti, ondivaghi civismi di circostanza, non permetterà a nessuna forza di giocare ad armi pari nella difficile partita del superamento della crisi cittadina e dell’innovazione.
C’è da chiedersi con onestà se, in questo difficile passaggio storico, in perpetua tensione tra cambiamento e stabilità, a questo vecchio film delle parti, a questa mal celata mistificazione, non sia preferibile di gran lunga una proiezione nuova, all’insegna di trasparente, responsabile ricerca di equilibrio identitario.