di Massimo Franco
Si discuterà a lungo se i 38 voti del Pd contro la fiducia al governo sulla riforma elettorale siano pochi o molti; se Matteo Renzi, imponendo la forzatura, abbia dato mostra di forza o di debolezza; e se davvero in questo caso si tratta di «no che si contano e si pesano», nelle parole di Rosy Bindi, una degli sconfitti. L’impressione è che il presidente del Consiglio abbia scommesso sulle divisioni della minoranza e vinto; e che per i suoi avversari interni si apra una fase delicata. Dovranno affrontare non tanto l’arroganza di Palazzo Chigi, che pure è evidente, quanto il rischio di apparire irrilevanti.
Quando il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, parla di «strappo contenuto» e nega azioni disciplinari contro chi ha disubbidito al governo, archivia politicamente lo scontro. Lo declassa, come il ministro Maria Elena Boschi, a qualcosa di fisiologico. Eppure l’ Italicum rappresenta una svolta, drammatizzata dalla fiducia. Ma quando cinquanta deputati del Pd anti-Renzi fanno sapere che voteranno comunque «sì» per senso di responsabilità, la spaccatura con i fautori del «no» è evidente. E rivela la diversità di obiettivi che si annida tra gli oppositori del premier.
È indubbio che colpisca la presenza tra i «no» dell’ex segretario Pier Luigi Bersani, dell’ex presidente del Consiglio Enrico Letta, dell’altro ex segretario Guglielmo Epifani e della stessa Bindi. Ma con i numeri che si sono delineati ieri, c’è da chiedersi se davvero esista una fronda ristretta ma «pesante» a Palazzo Chigi; oppure se il ridimensionamento di alcuni esponenti storici del Pd sia stato sancito proprio ieri. L’ipotesi di una qualunque scissione è ancora meno verosimile; e si allontana anche quella di elezioni anticipate.
Si delinea invece un renzismo deciso a utilizzare le debolezze altrui, approfittando della mancanza di una leadership alternativa; e pronto a sfidare i nemici, a costo di prendere iniziative destinate a lasciare lividi istituzionali profondi, e precedenti ingombranti. Forza Italia si vanta della propria compattezza, ma non può nascondersi che l’appello alla rivolta nel Pd è caduto nel vuoto. E il Movimento 5 stelle ironizza su un Sergio Mattarella «imbavagliato» al Quirinale. Ma la realtà è che la maggioranza marcia sulle macerie dei partiti: anche del Pd come è stato fino a poco tempo fa.
Può permetterselo perché è sostenuta da un Parlamento provocato sulle riforme; e spaventato dall’idea di un fallimento. Almeno fino a che non si capirà se la ripresa economica è una finzione o una realtà, Renzi insisterà sulla narrativa della «volta buona»; dei diritti della maggioranza e dei doveri delle minoranze. Il Nuovo centrodestra, alleato renziano, cerca di negare che ci sia «un uomo solo al comando». Eppure, la giornata di ieri dice il contrario. Forse gli avversari dovrebbero cominciare a porsi qualche domanda. Autocritica.