Il centrodestra, se fosse unito, varrebbe il 36,3% contro il 38,6 del centrosinistra
L o scenario politico ad inizio gennaio presenta alcuni interessanti cambiamenti rispetto non soltanto alle elezioni europee ma anche all’ultimo sondaggio sulle intenzioni di voto pubblicato da questo giornale a metà novembre. Il cambiamento non riguarda tanto la graduatoria dei partiti, che rimane invariata, quanto il consenso di due forze politiche: il Pd che, pur mantenendo il primato, fa segnare una flessione sia rispetto alle europee (-6%) sia rispetto all’autunno (-3,5%) e la Lega, che è in forte crescita e risulta più che raddoppiata rispetto alla consultazione elettorale del maggio scorso e in aumento di quasi 5% rispetto a novembre. Il cambiamento di strategia impresso dal segretario Salvini sta dando frutti sia in termini di popolarità del leader, attualmente al secondo posto dopo Renzi con valori raddoppiati rispetto a un anno fa, sia di intenzioni di voto. Va ricordato che nella sua storia ultraventennale la Lega ha superato il 10% dei consensi solamente in due occasioni (politiche 1996 e europee 2009). Gli altri partiti si mantengono su livelli sostanzialmente stabili: il Movimento 5 Stelle si conferma la seconda forza politica nonostante i deludenti risultati alle elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Calabria, l’espulsione dal movimento o la defezione di alcuni parlamentari e la nomina del direttorio che ha suscitato preoccupazione per un possibile disimpegno del leader e perplessità per il metodo adottato per la nomina. L’inchiesta Mafia capitale, tuttavia, consolida il posizionamento e la diversità del movimento di Grillo rispetto ai partiti tradizionali. Al terzo posto si conferma Forza Italia, in flessione rispetto alle europee e incalzata dalla Lega, probabilmente indebolita dalle tensioni interne, dalle difficoltà nel definire una strategia politica e dall’ambivalenza nei confronti del governo (si colloca all’opposizione ma dialoga con Renzi per la definizione delle riforme istituzionali e l’elezione del presidente della Repubblica). A seguire Ncd e Udc che sommati superano il 5%, Sel, sostanzialmente stabile, e Fratelli d’Italia che si mantiene sopra il 3%. Anche il dato dell’astensione si mantiene stabile e riguarda un elettore su tre. Le perdite del Pd sembrano essere sostanzialmente correlate a quelle aree che avevano aperto il credito a Renzi con le elezioni europee e adesso sono in parte rientrate. In sostanza si tratta di tre segmenti: ceti professionalizzati che dopo aver investito sul premier, tendono a tornare nell’area di centrodestra (in particolare Forza Italia); i bassi titoli di studio, le persone di età medio/alta, le casalinghe, da un lato più esposti alla crisi, dall’altro più delusi nelle attese (qualche volta messianiche) verso il governo, che si orientano maggiormente verso la destra (Lega e FdI); infine giovani e studenti, che si orientano verso la Lega in primis e poi le forze centriste. Il Pd sembra quindi almeno in parte perdere il tratto di partito «pigliatutti» che era emerso con le elezioni europee. La Lega evidenzia una capacità attrattiva molto trasversale, conquista quasi dovunque, con la parziale eccezione dei ceti più scolarizzati e professionalizzati. L’immagine di partito nazionale attrae quindi i segmenti più diversi, confermando la validità della nuova strategia politica. I sondaggi sulle intenzioni di voto inducono spesso a fare simulazioni per stimare il peso elettorale delle coalizioni. Si tratta di un esercizio puramente teorico, dato che i comportamenti di voto possono variare in relazione alle alleanze e ai leader che le guidano. Ad esempio non è affatto scontato che Forza Italia, Lega, Ncd-Udc e Fratelli d’Italia si possano alleare (appare infatti difficile trovare un denominatore comune tra forze politiche molto più distanti oggi che in passato) e riescano a definire un leader senza scontentare una parte dell’elettorato di provenienza dei singoli partiti alleati. Pur con queste riserve, sulla base dei dati del sondaggio odierno il centrosinistra (Pd e Sel) prevale sul centrodestra «allargato» di poco più del 2%. E il governo? La flessione di consenso registrata tra settembre e dicembre sembra essersi stabilizzata. Le vicende avvenute a cavallo del nuovo anno non hanno inciso particolarmente: il clamore suscitato dal decreto fiscale e dal sospetto di aver voluto favorire Berlusconi non ha penalizzato l’esecutivo e l’attentato parigino sebbene abbia suscitato grande emozione nel nostro Paese non ha determinato la crescita di consenso per il governo e per le istituzioni che solitamente accompagna gli eventi drammatici. In questi mesi è la crisi economica a guidare le opinioni. L’inversione di tendenza nella popolarità del governo dipenderà più dall’andamento dell’economia che dalle pur auspicate riforme istituzionali o dalla scelta del nuovo presidente della Repubblica.