La modernità è l’epoca del completo abbandono del vero e dell’inquietante esattezza del non vero: la mera rappresentazione e costruzione della tecnica. La modernità è l’epoca della deturpazione crescente dell’essenza umana smarrita nelle catene del calcolo esatto. In essa, un ego accresciuto a dismisura produce un umanesimo che è mero autocompiacimento di un uomo che considera l’essenza umana solo ed esclusivamente come suo merito. L’uomo moderno è colui che più di ogni altro abita lontano dalla sua origine non semplicemente in termini storici. Egli è un vagabondo errante nella sua stessa terra natia, che non riconosce ed è incapace di custodire adeguatamente a causa di quella industrializzazione scientifica che estingue ogni possibilità del dimorare autentico attraverso l’imperversare della rappresentazione come unica realtà.
Hölderlin, già a cavallo tra XVIII e XIX secolo, fu tra i primi a capire l’essenza della modernità come epoca dell’autodistruzione dell’Esser-ci. E fu tra i primi a comprendere la necessità di uno sguardo retrospettivo verso ciò che mantiene custodita un’antica e autentica memoria. Nella modernità, infatti, la memoria resta contraffatta da ciò che crediamo di sapere e possedere ma che in realtà è il mero prodotto della violenza della tecnica e di un mondo pervaso ovunque dall’impeto dell’artificiosità. Colpito dal divino Apollo, il poeta tedesco venne sospinto nella tenebra dalla luce iperchiara. Qui, nella vertigine abissale dell’angoscia e del Niente, comprese l’essenza della storia come ritorno nell’inizio.
Vaga nella notte e dimora, come l’Orco,
senza il divino la nostra stirpe.
(Arcipelago)
L’uomo moderno è senza memoria. È incapace di esperire l’assenza dell’Essere e realizzare la mancanza della Sua presenza. Egli vive nella notte, il tempo senza dèi dell’erranza nello smisurato. Ma la notte è anche il tempo della veglia, dell’indagare e del meditare per colui che attende il giorno preparandosi a disporre l’ambito per il ritorno del sacro. È nella notte più profonda che da un sapere audace hanno origine le decisioni più semplici. Ed il sapere audace è quello che pensa rimemorando. “Il pensiero rimemorante – afferma Heidegger nel suo studio sulla poesia di Hölderlin – è il pensare autentico dell’uomo; in cui l’uomo si lascia portare dalla lucentezza e dall’odore della terra, attraverso cui egli è così recondito nel mondo che questo all’apparenza si dona immediatamente”.
Il pensiero rimemorante è ciò che rimemora il “vero”. Questo, ripensando il permanente, ci pone di fronte alla decisione divina che istituisce e fonda qualcosa di non ancora essente: quella Patria dove l’uomo abita e che l’uomo deve preservare. Canta Hölderlin nel suo Inno all’Ister:
Qui tuttavia vogliamo costruire.
Giacché i fiumi rendono fertile
La Landa. Dove infatti crescono erbe
E dove vanno
Gli animali a bere in estate,
Anche gli uomini vanno.
Hölderlin
Il fiume rende fertile, e dunque ospitale all’uomo, la Landa che diviene Patria: il cuore sacro dei popoli. Prima dell’Ister/Danubio, tale compitò spetto all’Indo ed all’Alfeo: i fiumi dell’India e dell’Antica Ellade.
L’Ellade è per l’Europa il luogo dell’origine (la Landa del Mattino): quell’inizio dove l’Essere si sposò con l’uomo. Nei poemi omerici accade il soggiorno dei Celesti presso gli uomini generando lo Spirito e il Destino dell’Europa. I poemi omerici, di fatto, hanno istituito un mondo. Questi, come afferma il grande filologo Walter F. Otto, sono talmente pregni di presenza divina quanto nessun altro poema di qualsiasi altra epoca. In essi si manifesta una delle più grandi idee religiose della storia dell’uomo: l’idea religiosa dello Spirito europeo. Tuttavia, quella greca non è una religione nel senso romano della religio; è più un sentire e celebrare la terra e il cielo, gli uomini e il divino, come unità. Lo stesso divino non domina l’evento naturale ma si manifesta in esso. Non esisteva un “senso greco della natura”, la natura stessa era il divino.
Attraverso la rivelazione divina dei poemi omerici, l’Antica Ellade ha trovato e istituito il proprio mondo. Trovare (o ritrovare) e istituire il proprio mondo significa per un popolo trovare sé medesimo, raggiungere la realizzazione del proprio Esser-ci per mezzo dell’Essere. L’evento fondamentale dell’esistenza di un popolo è l’irruzione di quel pensiero (o il ritorno ad esso) che gli è peculiare o tenuto in serbo da sempre e che lo caratterizza nella storia universale. Tale evento non può che accadere in quel luogo in cui déi e uomini si incontrano “festosamente”. Ma dov’è e qual è questo luogo? Qui entra in scena la geografia sacra come scienza tradizionale in cui geografia visionaria e geografia fisica si sovrappongono: una “scienza”, dunque, che pertiene all’ambito della metafisica con il preciso significato di sovrasensibile che domina e compenetra tutto il sensibile.
Nel corso del suo viaggio in Grecia, Heidegger si accorse di come l’isola di Delo, Patria di Apollo, ancora nel XX secolo, nascondesse il sacro proteggendolo contro ogni pressione non sacra della modernità. In essa, il mondo del permanente, intangibile all’uomo moderno ma percepibile all’uomo che pensa rimemorando, era ancora presente. Hölderlin, dal canto suo, fu il primo a riscoprire questo mondo del permanente negato dalla modernità. Questo, infatti, altro non è che il mondo intermedio tra l’uomo e il divino (il mundus imaginalis spesso citato dal grande iranista Henry Corbin); il luogo delle visioni mistiche e profetiche che, ridotto a mero prodotto dell’immaginazione dall’uomo moderno, è al contrario per la geografia sacra Realtà e vita vera. Tale mondo, scrive Heidegger nei suoi appunti sul poeta nativo di Lauffen am Neckar, è l’“Inmezzo” (Inmitten), prodotto del raccoglimento di luogo (Ort) e spazio (Raum), e l’“Intanto” (Indessen), l’istante del raccoglimento nell’attimo (Augenblick) e nel tempo (Zeit).
L’uomo che si raccoglie in questo mondo abita nel pensiero rimemorante che permane nel lascito dell’Essere. Egli ripensa l’origine (l’Essere): una forma di pensiero che terrifica l’uomo moderno e ordinario perché impone un andare oltre scivolando verso il vuoto. Recita il Tao-Te-King di Lao Tse:
Trenta raggi incontrano il mozzo,
ma il vuoto tra loro permette l’essere della ruota.
Dall’argilla nascono i vasi,
ma il vuoto in loro permette l’essere del vaso.
Muri e finestre e porte costituiscono la casa,
ma il vuoto in mezzo a loro permette l’essere della casa.
L’ente genera l’utilizzabilità.
Il non ente permette l’essere.
Lao Tse
L’uomo moderno considera solo l’ente e dimentica o nega l’Essere annegando nel mare della materia o soggiornando, come afferma ancora Heidegger, presso l’“albero sfrondato” (simile all’“albero secco” citato da Julius Evola che rinverdirà al nuovo manifestarsi dell’“Impero”) nella notte senza splendore.
Ripensare l’Essere impone un andare oltre l’ente perché è solo immergendosi nell’abisso del Niente che l’Esser-ci intravede quell’Essere che si è rivelato dal principio al pensiero europeo come ciò che è da pensare ma che, secondo Eraclito, è stato subito dimenticato. Questo ripensare l’inizio (l’origine, il principio) è sempre un conflitto. Heidegger lo paragona ad una navigazione, come quella affrontata da Odisseo nel suo viaggio di ritorno in Patria. E come Odisseo che non riconosce immediatamente l’amata Itaca avvolta nella nebbia una volta approdato sulle sue coste, probabilmente, l’uomo moderno che nel raccoglimento ritorna all’Essere verrà abbagliato a tal punto dalla sua pura chiarezza che non sarà capace di riconoscerlo, salvo poi mirarlo con gioia “come desiderata appare la terra ai naufraghi” (Odissea, Canto XXIII).
Riscoperto l’Essere per mezzo del pensiero rimemorante ed una immersione nel più profondo che in realtà è un innalzamento verso il più elevato (“Chi pensa il più profondo, ama il più vivo” recitano i versi del canto di Hölderlin Socrate e Alcibiade), l’uomo non potrà che cercare di mantenerlo e salvaguardarlo. Solo nella salvaguardia, infatti, l’Essere si rende capace di istituire o re-istituire. E per istituire è proprio necessario portarsi di fronte al più elevato (il divino). Esso indica e mostra (non impone), ed in tale indicare è “l’accadimento autentico nell’ambito della verità che istituisce il dimorare dell’uomo presso l’atrio del sacro”, secondo Heidegger. Perché l’uomo, in quanto uomo, come recita il Frammento 119 di Eraclito, abita sempre in prossimità del divino (ἦθος ἀνθρώπῳ δαίμων).
Ma nel pensare l’origine bisogna essere estremamente cauti, perché non ogni discesa nell’antico e nel pensare primigenio garantisce originarietà e autenticità. Così, accade che quello che oggi viene definito con il connotato geografico di “Occidente” (con la sua moderna democrazia liberale e laica) rivendichi una diretta eredità dalla πόλις greca come originaria forma democratica. Tuttavia, i Greci dell’antichità non conoscevano affatto il paradigma della soggettività umana a fondamento della modernità, ed il loro sistema politico era fondato sulla giunzione degli dèi. Senza considerare che nessuno greco avrebbe mai pensato di definire se stesso come “occidentale” (l’Occidente era infatti la regione del demonico, dell’oscurità e della materia), e che la stessa “democrazia” era oggetto di aspre critiche venendo percepita come inesorabile fonte di decadimento.