Voglio andare controcorrente. Riapriamo i musei. Facciamo un bel regalo ai cittadini. Non ci sarà neppure lo spettro del contingentamento. I visitatori non saranno quelli di un tempo, ma saranno comunque importanti, anche se pochi. I musei sono luoghi di silenzio e di contemplazione, dove ci vuole pazienza e calma per passare dall’emozione alla conoscenza. Alle soglie di una festività che ha un fondamento sacro, che vorrebbe essere di profonda riflessione e di silenzio, i musei potrebbero dare una mano a riequilibrare i bisogni essenziali delle persone, che non sono quelli propinati dal consumismo di massa. Pochi mesi fa, all’inizio di tutto, si sentiva parlare di cambiamento, di trasformazione, di una radicale conversione ad altri valori e principi. Belle parole. La paura del congelamento dei consumi ha messo in secondo piano temi come la cultura, l’ambientalismo, la solidarietà. La scuola per fortuna ha fatto muro. E la sensibilità? Le emozioni? Il godimento estetico? Dove è finito tutto ciò? Abbiamo schiacciato i musei in un monitor, sperando nella forza dei social. Alla ricerca di nuove masse turistiche ci siamo prodigati a rendere accessibili le sale dei nostri musei ai follower. Chiusi i musei ci siamo orientati a porre rimedio all’astinenza con il godimento a distanza. Come se l’incarnazione del verbo fosse la stessa cosa del suo fantasma. La strada per ritrovare il senso del Natale e quella dell’Arte non sono poi così divergenti. I musei non sono chiese, ma qualcosa di sacrale si nasconde nell’arte. Nell’emozione provata davanti a un’opera d’arte avvertiamo qualcosa d’essenziale che magari sfugge nella corsa agli acquisti, in un passaggio in funivia. Aggiustiamo vi prego il tiro.
La funivia e il museo
di Sergio Risaliti