Anche stavolta c’è una battuta da social network che riecheggia come un mantra: «Chiedere che i colpevoli paghino non è populismo, è giustizia». E ciò che rischia di accadere mentre Matteo Renzi ripete la sua frase contro la Banca d’Italia, è riassunto più di quanto sembri in ciò che accadde quasi quattro anni fa. Il mantra da usare su Twitter e Facebook allora era «Enrico stai sereno» e per certi aspetti sembra di vivere un eterno ritorno delle stesse dinamiche fra Italia e Europa.
La caduta di Letta
È il 17 gennaio 2014 quando il leader del Partito democratico va in tivù e pronuncia quella frase che gli sarebbe rimasta incollata addosso. Il Paese allora è così ipnotizzato da quelle parole e dagli sviluppi – la caduta del governo di Enrico Letta, l’ingresso di Renzi a Palazzo Chigi il mese dopo – che perde di vista una trama parallela e almeno altrettanto importante: l’approvazione della Brrd, la direttiva europea che prevede perdite per i creditori e potenzialmente anche ai depositanti delle banche in dissesto.
Il voto sul bail-in
Quella norma avrebbe segnato il governo di Renzi ben più dell’«Enrico stai sereno», ma allora e in seguito il leader del Pd e l’intero sistema politico non sembrano accorgersene. In ogni caso non ne parlano, e tanta distrazione ha prodotto effetti paradossali: uno dei primi atti del governo Renzi a Bruxelles, nel febbraio del 2014, fu proprio il voto a favore della direttiva sul bail-in , il colpo di falce sui creditori e i depositanti delle banche. L’Italia di allora aveva assentito per pura impreparazione, ma proprio quelle norme e la difficoltà che crearono nel gestire i problemi delle banche sarebbero diventate la spina nel fianco di Renzi fino alla commissione bancaria di questi giorni.
Il nodo titoli di Stato
Ora che l’inchiesta parlamentare sulla crisi degli istituti è a pieni giri, la domanda che corre in Europa è se gli stessi errori italiani non rischino di ripetersi; se l’intensità della polemica di Renzi contro la Banca d’Italia per i dissesti degli scorsi anni, dal caso Etruria in poi, non rischi di accecare di nuovo il sistema politico di fronte ai negoziati aperti oggi. Proprio sulle banche ce n’è infatti uno che per l’Italia potrebbe avere conseguenze anche più destabilizzanti del bail-in .
Il debito pubblico
In gioco per gli istituti è il diritto di comprare e detenere titoli del Tesoro senza conseguenze avverse per i livelli di capitale, come avviene in tutto il mondo. Per il governo, è invece in discussione la possibilità di poter contare sulle banche come acquirenti affidabili di debito pubblico anche nei momenti più delicati.
La guerra renziana
La posta del negoziato che si sta aprendo fra Bruxelles, Francoforte, Parigi e Berlino è così alta per l’Italia che, visto dal resto d’Europa, lo scontro fra Renzi e Via Nazionale minaccia conseguenze avverse per il Paese. La prima è naturalmente di concentrare il dibattito sulle banche solo sul passato, senza attenzione alle partite decisive del futuro. Ma la derivata seconda di quel renziano «non è populismo, è giustizia» contro la Banca d’Italia – la quale pure in questi anni è inciampata in ritardi, sottovalutazioni e errori che ancora non riconosce – può essere anche più invalidante: il leader del partito di maggioranza delegittima l’istituzione che dovrebbe sostenere buona parte di un confronto imminente in nome del Paese.
Il limite al portafoglio
Perché in Germania o in Francia si dovrebbe dare ascolto alla Banca d’Italia, se a Roma non è altro l’imputato di un processo con poche prove ma molto rumore?
Non è ciò che serve all’Italia in Europa oggi. Poco più di un mese fa Alexander Schulz della Bundesbank ha proposto di limitare il portafoglio di titoli di Stato nei bilanci bancari, un terreno dove l’Italia è il più esposto fra i grandi Paesi. E la Germania non è sola: l’europarlamento ha appena pubblicato uno studio del francese Nicolas Véron, del centro studi Bruegel, con idee simili. Per le banche italiane ciò comporterebbe un’erosione del patrimonio e dunque del credito disponibile, per il debito pubblico il rischio di una nuova impennata degli interessi.
Il governatore
Non è chiaro se sia per questo, ma Via Nazionale ormai ha deciso di passare a una sorta di «fase due». Non si limiterà più a subire gli attacchi di Renzi, risponderà con gli argomenti e le esperienze di cui dispone: dal caso Etruria, al tempo prezioso perso dal governo nel 2016 nell’affrontare alla radice le crisi di Monte dei Paschi e delle banche venete.
Qualcuno ai vertici del Pd deve aver percepito che nella banca centrale la stagione del riserbo è finita, perché sta emergendo un’apparente stranezza: nessuno sa dire esattamente quando Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, verrà sentito dalla commissione parlamentare d’inchiesta. Certo non presto, malgrado la questione delle crisi venete riguardi in pieno il suo primo mandato.
Si direbbe quasi che qualcuno speri che Visco sia del tutto delegittimato, prima di lasciarlo testimoniare sotto giuramento davanti ai parlamentari. Non fosse mai che dicesse qualcosa di imbarazzante sì, ma non per sé.
Corriere della Sera – Federico Fubini – 13/11/2017 pg. 1 ed. Nazionale.