Kamel Daoud, 44 anni, è un giornalista e scrittore algerino che è arrivato in finale all’ultimo prix Goncourt con lo straordinario Meursault, contre-enquête (Actus-Sud, in Italia sarà pubblicato a inizio 2016 da Bompiani), omaggio allo Straniero di Camus, nel quale il narratore è il fratello dell’«Arabo» ucciso da Meursault.
Possiamo applicare la nozione di «assurdo» di Camus a quello che stiamo vivendo in questi giorni?
«Mi pare di sì, la grande differenza dipende da come ci poniamo di fronte all’assurdo. I jihadisti pensano di detenere la verità sul mondo, credono di possedere il senso delle cose, e finiscono per uccidere degli innocenti, cadono nell’assurdo. Noi che accettiamo l’assurdità del mondo, che la verità non la possediamo ma la cerchiamo, partiamo dall’assurdo e finiamo per costruire del senso, per dare un senso alle cose. La vita è inspiegabile, ma gli assassini trovano sempre dei motivi per le morti che hanno provocato».
In uno dei suoi ultimi editoriali lei attacca l’abitudine dei ministri algerini di giustificarsi davanti agli islamisti. Stiamo perdendo la battaglia culturale?
«È così, le élite arabe sono troppo deboli, e in parte lo sono anche quelle occidentali. Nel mondo arabo le autorità non riescono a mettersi in una posizione di forza, sono succubi degli integralisti. I ministri non danno spiegazioni al cittadino ma al credente, si sentono colpevoli di fronte agli islamisti ma non di fronte alla repubblica, si giustificano di fronte alla sharia e non a una costituzione» .
Perché anche le élite occidentali sono deboli?
«Perché oscillano tra il populismo e l’accondiscendenza. Nel primo caso, considerano ancora i musulmani come un elemento esogeno, come un corpo estraneo, quando invece è endogeno. I musulmani sono francesi o italiani come gli altri. Nel secondo caso, le élite occidentali talvolta non si oppongono con sufficiente fermezza alla prepotenza. Ho apprezzato invece la recente legge austriaca che proibisce il finanziamento dei luoghi di culto dai fondi stranieri, e obbliga tutti gli imam a parlare il tedesco».
Ieri su «Libération» lei ha scritto che è Tunisi oggi il vero cuore del mondo arabo.
«Sì perché è lì che si gioca la battaglia tra democrazia e islamismo, e la Tunisia è l’unico Paese che sta riuscendo a costruire un equilibrio tra forze progressiste e tradizione islamica. È Tunisi il cuore. Non Algeri, capitale della decolonizzazione, né il Cairo, centro del panarabismo» .
All’età di nove anni lei ha deciso di imparare, da solo, il francese, la lingua dell’ex colonizzatore. Perché?
«E perché no? Non era tanto una questione di lingua ma di desiderio, voglia di aprirmi al mondo e di conoscere. Volevo poter leggere i libri che ancora facevano parte della nostra realtà. Ed erano scritti in francese» .
Lei, Kamel Daoud, è vittima di una fatwa pronunciata da un imam salafista che le rimprovera le posizioni contrarie all’integralismo islamico. Condannato a morte, continua a vivere in Algeria.
«Io sono algerino, le persone che amo e che mi amano vivono in Algeria, non voglio andarmene. Tutta la mia vita è là. Mi possono uccidere, è vero, ma potrebbero uccidermi ovunque, a Tolosa o a Genova».
I fatti di questi mesi le ricordano gli attentati della guerra civile in Algeria?
«Certamente, lo stesso orrore che adesso vive il mondo intero noi lo abbiamo vissuto negli anni Novanta, quando i civili innocenti furono uccisi a migliaia. Dobbiamo renderci conto che siamo in guerra, tutti. Da una parte gli jihadisti, dall’altra l’umanità» .
Migliaia di manifestanti in piazza a Tunisi contro il terrorismo. Il mondo arabo si sta finalmente mobilitando?
«Ricordiamoci che scendere in piazza a Parigi è meno rischioso che ad Algeri. Comunque sì, mi sembra che ci stiamo svegliando. È aumentato l’orrore, ma anche il rifiuto. Tutti hanno capito ormai che è una questione di vita o di morte».
Stefano Montefiori
@Stef_Montefiori