Il commento
Non è colpa del fato, se la sinistra si brucia ogni volta che sfiora le banche.
Anche stavolta non serviva il Mago Otelma per prevedere che la “condanna sommaria” pronunciata contro la Banca d’Italia avrebbe dato fuoco alle polveri. Il Pd ha commesso un altro errore. Per liberarsi dal fantasma di Etruria che lo bracca ormai dal 2015, e per recuperare consensi all’insegna di un avventuroso “grillismo di palazzo”, ha trasformato la Commissione parlamentare che indaga sulle crisi bancarie in un Tribunale del Popolo.
E ha approfittato di una sola seduta, quella in cui è stato ascoltato il Capo della Procura di Arezzo, per emettere la sua “sentenza definitiva”: la colpa dei disastri del credito è tutta di Via Nazionale. Una mossa avventata, liquidatoria e auto-assolutoria. È evidente che Bankitalia e Consob hanno serie responsabilità, nel buco nero che ha risucchiato quasi 70 miliardi di denaro pubblico e privato. È fallito il coordinamento, le esigenze della stabilità hanno fatto premio su quelle della trasparenza: di tutto questo, le due istituzioni dovranno rendere conto al Parlamento e al Paese. Ma è altrettanto evidente che il partito di maggioranza che da Palazzo Chigi ha gestito le più delicate partite del credito (dalla trasformazione delle popolari all’applicazione del bail in, dalla messa in risoluzione delle quattro banchette del Centro-Italia alla fallita ricapitalizzazione di Mps) non poteva cavarsela così a buon mercato.
Ed è ancora più evidente che un personaggio-chiave come Maria Elena Boschi (portatrice di un oggettivo conflitto di interessi per il coinvolgimento di suo padre Pierluigi nel default di Etruria) non poteva attraversare indenne i sospetti mai davvero chiariti sulla parte che lei stessa ha giocato in commedia.
Scaricando tutto il peso dei crac sulle spalle dei controllori.
Condonando la Politica e condannando la Tecnocrazia.
Troppe cose non funzionano, in questo goffo scaricabarile.
Innanzi tutto la posizione di Roberto Rossi, il procuratore aretino già consulente di Letta e poi dello stesso Renzi alla Presidenza del Consiglio e già “processato” una volta dal Csm. Le sue parole in audizione, giovedì scorso, sono servite ai commissari democratici per celebrare anzitempo la loro vittoria di Pirro contro Ignazio Visco.
Rossi è stato troppo eloquente, quando ha detto di aver trovato “strano” che Bankitalia esercitasse pressioni per la fusione Etruria-Popolare di Vicenza. Perché lo ha detto? Spetta forse a lui valutare nel merito la moral suasion di una banca centrale? Ma Rossi è stato troppo reticente, quando non ha detto in modo esplicito che Pierluigi Boschi, già indagato e multato due volte dalla Vigilanza, è ora anche indagato per “falso in prospetto”. Perché non lo ha detto? Se la può cavare obiettando che nessuno glielo ha chiesto? E poi Maria Elena Boschi. Aveva giurato di fronte alle Camere di non aver mai sfiorato il dossier Etruria. Ha sempre taciuto, nonostante le notizie uscite su tutti i giornali su un vertice a Laterina con il papà e con gli amministratori di Veneto Banca, e nonostante la notizia uscita sul libro di De Bortoli sui suoi tentativi di far comprare Etruria da Unicredit, allora guidata da Federico Ghizzoni. Dopo mesi di silenzio, la sottosegretaria parte ora con le querele (ormai solo in sede civile, per quelle penali sono scaduti i termini). Perché si decide solo ora? Se è davvero in condizioni di spegnere l’incendio che le brucia intorno da troppo tempo, perché non l’ha fatto prima? Ora tutto quello che deve essere chiarito in Commissione si fa meno chiaro. Rossi sarà riascoltato? Visco e Vegas? Boschi e Ghizzoni? Sta succedendo quello che non doveva accadere. La macelleria bancaria fa morti e feriti. E diventa un’arma-fine-di-mondo in campagna elettorale. Il Pd voleva usarla per difendersi, le opposizioni la usano per attaccare. In un clima da Santa Inquisizione in cui tutti hanno peccato, e nessuno può scagliare la prima pietra. Tranne i poveri risparmiatori, che nelle urne del 2018 sapranno come regolarsi.
Anche stavolta non serviva il Mago Otelma per prevedere che la “condanna sommaria” pronunciata contro la Banca d’Italia avrebbe dato fuoco alle polveri. Il Pd ha commesso un altro errore. Per liberarsi dal fantasma di Etruria che lo bracca ormai dal 2015, e per recuperare consensi all’insegna di un avventuroso “grillismo di palazzo”, ha trasformato la Commissione parlamentare che indaga sulle crisi bancarie in un Tribunale del Popolo.
E ha approfittato di una sola seduta, quella in cui è stato ascoltato il Capo della Procura di Arezzo, per emettere la sua “sentenza definitiva”: la colpa dei disastri del credito è tutta di Via Nazionale. Una mossa avventata, liquidatoria e auto-assolutoria. È evidente che Bankitalia e Consob hanno serie responsabilità, nel buco nero che ha risucchiato quasi 70 miliardi di denaro pubblico e privato. È fallito il coordinamento, le esigenze della stabilità hanno fatto premio su quelle della trasparenza: di tutto questo, le due istituzioni dovranno rendere conto al Parlamento e al Paese. Ma è altrettanto evidente che il partito di maggioranza che da Palazzo Chigi ha gestito le più delicate partite del credito (dalla trasformazione delle popolari all’applicazione del bail in, dalla messa in risoluzione delle quattro banchette del Centro-Italia alla fallita ricapitalizzazione di Mps) non poteva cavarsela così a buon mercato.
Ed è ancora più evidente che un personaggio-chiave come Maria Elena Boschi (portatrice di un oggettivo conflitto di interessi per il coinvolgimento di suo padre Pierluigi nel default di Etruria) non poteva attraversare indenne i sospetti mai davvero chiariti sulla parte che lei stessa ha giocato in commedia.
Scaricando tutto il peso dei crac sulle spalle dei controllori.
Condonando la Politica e condannando la Tecnocrazia.
Troppe cose non funzionano, in questo goffo scaricabarile.
Innanzi tutto la posizione di Roberto Rossi, il procuratore aretino già consulente di Letta e poi dello stesso Renzi alla Presidenza del Consiglio e già “processato” una volta dal Csm. Le sue parole in audizione, giovedì scorso, sono servite ai commissari democratici per celebrare anzitempo la loro vittoria di Pirro contro Ignazio Visco.
Rossi è stato troppo eloquente, quando ha detto di aver trovato “strano” che Bankitalia esercitasse pressioni per la fusione Etruria-Popolare di Vicenza. Perché lo ha detto? Spetta forse a lui valutare nel merito la moral suasion di una banca centrale? Ma Rossi è stato troppo reticente, quando non ha detto in modo esplicito che Pierluigi Boschi, già indagato e multato due volte dalla Vigilanza, è ora anche indagato per “falso in prospetto”. Perché non lo ha detto? Se la può cavare obiettando che nessuno glielo ha chiesto? E poi Maria Elena Boschi. Aveva giurato di fronte alle Camere di non aver mai sfiorato il dossier Etruria. Ha sempre taciuto, nonostante le notizie uscite su tutti i giornali su un vertice a Laterina con il papà e con gli amministratori di Veneto Banca, e nonostante la notizia uscita sul libro di De Bortoli sui suoi tentativi di far comprare Etruria da Unicredit, allora guidata da Federico Ghizzoni. Dopo mesi di silenzio, la sottosegretaria parte ora con le querele (ormai solo in sede civile, per quelle penali sono scaduti i termini). Perché si decide solo ora? Se è davvero in condizioni di spegnere l’incendio che le brucia intorno da troppo tempo, perché non l’ha fatto prima? Ora tutto quello che deve essere chiarito in Commissione si fa meno chiaro. Rossi sarà riascoltato? Visco e Vegas? Boschi e Ghizzoni? Sta succedendo quello che non doveva accadere. La macelleria bancaria fa morti e feriti. E diventa un’arma-fine-di-mondo in campagna elettorale. Il Pd voleva usarla per difendersi, le opposizioni la usano per attaccare. In un clima da Santa Inquisizione in cui tutti hanno peccato, e nessuno può scagliare la prima pietra. Tranne i poveri risparmiatori, che nelle urne del 2018 sapranno come regolarsi.
La Repubblica – Massimo Giannini – 05/12/2017 pg. 1 ed. Nazionale.