Yoram Hazony ha scritto “Le virtù del nazionalismo”, diventato il manifesto dei leader di destra. Delirante
di Gad Lerner
Ammetto che le recensioni- fotocopia, elogiative de Le virtù del nazionalismo di Yoram Hazony indicato come manifesto teorico dei nuovi movimenti sovranisti, non mi erano bastate. Per convincermi a leggerlo ci è voluto l’omaggio resogli (in ottimo inglese) da Giorgia Meloni alla National Conservatism Conference dell’Hotel Plaza di Roma, presenti Viktor Orbán, Marion Maréchal, Ryszard Legutko e altri leader della destra: «Caro Yoram, il tuo libro creerà grande scandalo in Italia, e io vi contribuirò perché intendo citarlo spesso».
Arrivato all’ultima pagina, mi sono confermato nel sospetto che né la Meloni né i recensori-fotocopia siano andati oltre un riassunto maldestro, altrimenti qualche imbarazzo ce l’avrebbero avuto nello sposare le teorie di questo saggista israeliano ultraortodosso che si presenta al tempo stesso come scienziato politico e biblista. Sia ben chiaro: non è certo l’osservanza dei precetti religiosi che gli si debba imputare, ci mancherebbe. Ma il disinvolto cortocircuito fra antichità e contemporaneità, tipico degli integralismi di ogni credo, lo conduce a esprimere giudizi sul presente che farebbero arrossire anche la Meloni e Salvini (di quest’ultimo si dice che abbia disertato il convegno romano per via della scarsa conoscenza dell’inglese).
Cominciamo dalla dedica, nella quale Yoram Hazony esprime il suo amore paterno ai nove figli, indicati come i «membri della mia tribù». Non crediate che sia casuale. Le tribù sono alla base del suo schema interpretativo. Precedute dalle famiglie e dai clan, sono le tribù che coalizzandosi formano la Nazione: sul calco originario delle dodici tribù d’Israele. Un meccanismo che resta valido anche per l’oggi in quanto i membri di una tribù «tributano grande venerazione per il sacrificio di sé» e per la «mutua fedeltà», «che difendono strenuamente e persino ricorrendo alla violenza». Attitudini, queste, che il nazionalista condivide, essendo anch’egli un particolarista, ma che sarà chiamato a mitigare.
La virtù del nazionalismo, fin dalla sua presunta origine nella Bibbia ebraica, risiederebbe nella sua contrapposizione alle potenze imperiali. Ieri l’Egitto, Babilonia, l’Assiria e la Persia. Oggi l’Unione Europea con la sua «ideologia politica liberal- imperialista», «divenuta uno dei più potenti agenti nel fomentare l’intolleranza e l’odio nel mondo occidentale ».
Non sto esagerando, né forzando il pensiero di Hazony. Davvero lui propone come modello ideale, ai nazionalisti che lo riveriscono, non lo Stato d’Israele, bensì l’antico Regno d’Israele. Ma intanto, nell’immediato, fatta sua l’equivalenza «il liberalismo come imperialismo», demonizzata ogni aspirazione sovranazionale fino al punto di mettere sullo stesso piano “globalista” i marxisti e i terroristi islamici, il nostro teorico non risparmia indicazioni precise per gli adepti. Poiché è in atto uno scontro epocale fra ordinamento imperiale e Stati nazionali che aspirano alla loro indipendenza, bisogna ribellarsi all’esercizio della «coercizione internazionale». Cioè bisogna ribellarsi agli organismi provvisti «dell’autorità di assumere deliberazioni vincolanti per tutte le nazioni sulle tematiche di guerra e di pace».
A scanso di equivoci, Hazony offre un bell’elenco dei padroni di cui liberarsi: Unione Europea, Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, Organizzazione mondiale del Commercio e, dulcis in fundo , Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. Citerà anche questi propositi bellicosi del suo teorico di riferimento, Giorgia Meloni, in giro per l’Italia? Se del caso, le raccomando di non tralasciare il passaggio successivo, che forse non ha letto ma che suona come una parola d’ordine ultimativa: «Non dovremmo quindi cedere nemmeno il più infinitesimale frammento della nostra libertà a qualsivoglia organismo straniero, o a sistemi normativi estranei non determinati dalla nostra nazione di appartenenza». Direi che è questa la frase-chiave del libro di culto dei sovranisti. Sarei curioso di sapere in quale proposta politica intenderebbero concretizzare i sovranisti nostrani questo ferreo rifiuto di obbedienza a qualsivoglia organismo straniero; e inoltre se condividano le accuse infamanti riversate dal loro guru su chiunque manifesti una visione di governo sovranazionale, a partire da Immanuel Kant fino ai liberali di oggigiorno. Ci sarebbero poi una serie di amenità sfuggite ai compilatori dei riassunti da ufficio stampa, quelli che elogiano il vincitore del Conservative Book 2019 senza averlo letto. Notevoli le acrobazie dialettiche di Hazony volte a sostenere che gli orrori del nazismo non sarebbero scaturiti dal nazionalismo tedesco, bensì da una visione imperiale ad esso sovrapposta. Talmente impegnato è il nostro aedo del nazionalismo nel proclamarne le virtù ideali, respingendo le insinuazioni di chi denuncia il fascismo e il razzismo che di nuovo vi si annidano, da non accorgersi del seguito da lui riscosso proprio nell’estrema destra. Entusiasta, quest’ultima, di potersi riconoscere in un israeliano, come se ciò bastasse a smacchiare non solo il passato antisemita ma anche il presente cospirazionista di cui rimane intrisa.
Tipica dei nazionalisti che praticano l’idolatria della terra, sul tristo modello “sangue e suolo”, è la centralità che Yoram Hazony assegna al clan, alla tribù, alla nazione. Ma davvero inconsueta è la disinvoltura semantica con cui si sente autorizzato a rovesciare il testo biblico per adeguarlo alla sua tendenza politica. A metà del libro, e poi nelle sue conclusioni, si cimenta con un passaggio meraviglioso della Genesi riguardante la chiamata del giovane Abramo e l’incarico che egli riceve dal Signore. È il celeberrimo Lech lecha (che significa al tempo stesso «vattene» e «vai verso te stesso») attraverso cui la missione dell’ebraismo si concepisce universale. Ebbene, pur di sostenere che la Bibbia è nazionalista e che non possano esistere collettività se non in regime di separazione reciproca, il nostro ultraortodosso si guarda bene dal citare per intero i versi di Genesi 12: «Il Signore disse ad Abramo: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre”…». Questa è la premessa – non proprio nazionalista, e quindi espunta da Hazony – grazie alla quale Abramo potrà dar vita a un grande popolo, attraverso il quale, attenzione, «si diranno benedette tutte le famiglie della terra ». Tutte.
Difficile infilare la camicia di forza del sovranismo al patriarca Abramo, chiamato a lasciare la sua patria e le tradizioni idolatre di suo padre. Ci vuole una buona dose di faccia tosta, al nostro Hazony… Direbbe Francesco De Gregori: ma tutto questo Giorgia non lo sa.