di Maurizio Molinari
«Difendendo l’ambiente abbiamo la possibilità reale di migliorare la vita delle persone e siamo alla vigilia del maggior cambiamento dalla rivoluzione industriale». L’inviato speciale Usa sul clima, John Kerry, ci incontra a Villa Taverna, ha al fianco lo stretto collaboratore David Thorne, ex ambasciatore a Roma, e studia con attenzione i documenti preparatori del G20 dell’Ambiente che si apre oggi a Napoli. Kerry è consapevole delle resistenze di Pechino come delle tensioni inter-europee ma guarda oltre: crede «in una convergenza del G20 sugli impegni del G7», parla di «collaborazione possibile con Mosca», plaude alla «coesione Ue» a dispetto delle polemiche sul “Green Deal” e guarda con fiducia alla conferenza Onu che si terrà in novembre a Glasgow perché «le co-presidenze di Italia e Gran Bretagna ci fanno ben sperare».
Segretario Kerry, lei chiede al summit del G20 di seguire il G7 nell’impegno sulla protezione del clima. Crede che il vertice di Napoli ascolterà tale suggerimento oppure sarà bloccato dai veti incrociati?
«La mia impressione è che i singoli Paesi vogliono fare meglio nella protezione dell’ambiente e vogliono riuscirci adesso».
Eppure le differenze ci sono e il summit appare tutto in salita…
«Ci possono essere differenze di opinione se una decisione è abbastanza o se qualcuno sta facendo meglio di altri. Dunque bisogna ascoltare tutti, con attenzione. Ed è ciò che farò al summit di Napoli. Ma il G7 è stato un grande successo per gli impegni sottoscritti – non finanziamento di impianti a carbone all’estero, riduzione delle emissioni nel 2020-2030 e riduzione della crescita della temperatura terrestre a 1,5 gradi e credo possiamo riuscire a procedere su questa strada con il pieno sostegno del G20. Abbiamo più opzioni a Napoli».
L’Italia, presidente di turno del G20, sta tentando di favorire un accordo al summit sull’Ambiente. Può farcela?
«Certo, i vostri ministri, come Cingolani, stanno facendo un grande lavoro, sono molto competenti. Ho incontrato il premier Draghi ed è stato molto chiaro con me nel descrivere le ambizioni dell’Italia: non solo per accompagnare Cop26 al successo ma anche per indicare la strada verso il futuro. La co-presidenza di Italia e Gran Bretagna per la Cop26 ci fa ben sperare».
L’Unione Europea si è impegnata a non emettere emissioni entro il 2050, riducendo i gas nocivi almeno del 55 per cento rispetto ai livelli del 1990. È un obiettivo realistico o rischia di affossare le nostre economie?
«È un obiettivo realistico, raggiungibile e positivo per l’economia. Siamo di fronte alla possibilità della più grande trasformazione dalla rivoluzione industriale. Saranno creati milioni di posti di lavoro. Non c’è alcun dubbio su questo. Ad esempio, in America dobbiamo creare una rete elettrica nazionale – che non abbiamo – e ciò significa lavori, elettricisti, idraulici, esperti di cavi, edili, tecnici di mezzi pesanti. Abbiamo di fronte la necessità di realizzare costruzioni imponenti ed altri Paesi si trovano in situazioni analoghe. E non è tutto perché dobbiamo sviluppare nuove tecnologie: idrogeno verde, impianti di elettrolisi che più saranno efficienti meno costeranno. L’idrogeno non crea emissioni, se non viene prodotto con carburanti fossili, e questo significa che possiamo arrivare all’idrogeno pulito. Certo, c’è anche l’idrogeno blu che può essere realizzato con il gas ma noi vogliamo ridurre tutte le emissioni. Possiamo farcela? Si. È chiaro come ci arriveremo? No.
Dobbiamo avere maggiori ambizioni. Ed è per questo che ci vedremo a Glasgow, in novembre, alla Cop26 dell’Onu».
L’Ue vuole introdurre una tassa sull’import di prodotti realizzati creando emissioni nocive. È una sorta di tassa ambientale. Quale è la posizione Usa?
«Il presidente Biden ha chiesto a me ed al mio team di valutare questa possibile tassa Ue. Non abbiamo idea di quali effetti avrebbe sulla catena di produzione, se potrebbe avere conseguenze negative su commercio e lavoro. Dovremo valutare tutto con attenzione. Ma l’idea che un Paese possa esportare prodotti a basso costo perché non rispetta le norme sulla difesa dell’ambiente non è accettabile. Ci sono Paesi che devono rispondere di tali comportamenti. È giusto. Ci possono essere strade diverse per arrivarci ma l’idea di fondo è condivisibile».
Più in generale ritiene che Unione Europea e Stati Uniti riusciranno ad armonizzare leggi e regolamenti sull’ambiente?
«Assolutamente sì. Più armonia riusciremo a creare fra noi, meglio sarà per tutti. Arrivare a principi e regole comuni sull’ambiente è importante».
A metà mese ha incontrato a Mosca il presidente russo Putin che ha parlato di «interessi comuni con l’America» sull’ambiente. In che maniera il Cremlino può aiutare a raggiungere un accordo Onu a Glasgow?
«La Russia può fare molto. Putin ha chiarito che considera i cambiamenti climatici anche per il suo Paese. La Russia ha il metano e nelle regioni settentrionali ha il problema delle fuoriuscite nella tundra, nel permafrost. Hanno grandi edifici e intere città divenute instabili a causa del suolo che si scioglie.
Inoltre la Russia ha il gas e, sebbene non sia l’ultima soluzione, usarlo può contribuire ad avvicinarla».
Insomma, lei ha guardato negli occhi il presidente Vladimir Putin ed ha avuto l’impressione che voglia davvero proteggere il clima. È così?
«Sono in diplomazia da tempo sufficientemente lungo da sapere che le parole sono soltanto parole e possono costare assai poco.
Dunque le parole servono per arrivare agli accordi che, una volta sottoscritti, diventano fatti e vengono percepiti da tutti. Ecco perché servono gli impegni.
Credo che Putin veda i problemi ma resta da vedere quando saranno concrete le conseguenze che persegue».
La Cina continua a difendere il finanziamento di impianti a carbone all’estero. Perché il presidente Xi va in questa direzione?
«Questo lo deve chiedere ai cinesi. Io credo sia un problema, una sfida, di cui Pechino deve rendere conto a tutti. Sappiamo che alcuni Paesi considerano questi impianti cruciali per la loro produzione di energia ma non lo consideriamo più corretto: oggi abbiamo il vento, il sole ed altre fonti rinnovabili che sono accessibili e costano anche meno. Sta a Paesi come la Cina scegliere di andare incontro a questi benefici».
Nel discorso pronunciato lunedì a Londra lei ha offerto alla Cina un’alleanza con l’Occidente per la difesa del clima. Crede che accetterà?
«Fino a quando non rifiutano, possono accettare. Sto lavorando molto con i cinesi. Ho fatto 14 incontri digitali con loro ed in un’occasione, quando sono andato di persona a Shanghai, l’esito è stato positivo. Dunque credo che la Cina accetterà, perché sappiamo tutti che senza di lei – come senza le altre grandi economie del Pianeta – non possiamo farcela. Se noi andiamo a zero e Pechino continua a crescere con le emissioni, la difesa del Pianeta fallirà. Non è una questione di politica o ideologia ma di matematica e calcolo: e gli scienziati sanno assai bene cosa dobbiamo fare».
Sulla strada verso il summit Onu sul Clima di Glasgow possiamo dire che Cina e India sono gli ostacoli maggiori?
«No. Sono parte di un mosaico di sfide con cui abbiamo a che fare.
La sfida per il clima è diversa in ogni Paese. Ve ne sono alcuni senza elettricità, ve ne sono altri con imponenti quantità di energia ma senza gas. Dobbiamo far leva sulla nuova tecnologia per affrontare una simile agenda.
Di una cosa sono certo: la questione climatica può essere affrontata e risolta soltanto se tutti i Paesi partecipano. E può generare lavoro e ricchezze praticamente ovunque. Servono ad esempio accordi regionali sull’acqua dei fiumi, affinché tutti traggano vantaggio dall’idro-energia che è pulita».
Insomma, lei crede nella possibilità che l’Ue superi le divisioni ed affianchi gli Usa nella battaglia per il clima?
«Sì, l’Europa ha superato Brexit ed ora affronta il clima con determinazione e grazie ad un leader, Ursula von der Leyen, che con il vice Timmermans può avere successo. Affiancandosi agli Usa nel promuovere nuove alternative, tecnologie verdi, costruzioni finanziarie, fonti di energia pulita e impianti che rendono possibile una stagione di scoperte. È un grande momento per tutti noi perché possiamo davvero migliorare la vita della gente. È un’opportunità per tutta l’umanità».