Balzac amava i vialetti dell’«elegante cimitero» parigino del Père-Lachaise, e non di rado trovava tra le lapidi i nomi per i suoi personaggi. Ma gli illustri italiani sepolti laggiù sono davvero dei personaggi da romanzo, come testimonia questo bel libro promosso dal consolato italiano, fitto di brillanti interventi, da Corrado Augias a Alberto Mattioli, Daria Galateria a Benedetta Craveri e Fabio Gambaro.
Biondo e roseo, Vincenzo Bellini piaceva molto alle parigine, divertite dalla sua parlata siculo-francese. La sua ingenuità ne fece un perfetto capro espiatorio per il poeta Heinrich Heine. Molto superstizioso, il compositore aveva paura anche solo di sentire nominare la morte. Una sera, dalla principessa di Belgioioso, Heine cominciò a tormentarlo: «Gli uomini di talento muoiono tutti così presto! Vediamo un po’ quanti anni ha? Trentadue o trentatré? Dunque… Mozart ha vissuto solo trentacinque anni». Bellini, turbato, fece scivolare le mani sotto l’abito per fare le corna, mentre Heine lo incalzava: «Dopotutto forse lei non corre il minimo pericolo. Chi può dire che abbia il genio che le attribuiscono? Da parte mia lo ignoro. Non conosco nemmeno una delle sue opere e rimarrò nell’ignoranza. La trovo simpatico, e le sono troppo amico per non soffrire profondamente se scoprissi che ha questo dono del cielo, così funesto a chi lo possiede».
Bellini restò senza parole e si allontanò in fretta, facendo ridere gli amici. Pochi giorni dopo, non si presentò a una cena scrivendo che non stava bene. La padrona di casa osservò la fastosa carta da lettere del compositore: «Non si può essere malati quando si manda un bollettino medico così civettuolo!». Venti giorni dopo Bellini, era morto, forse di colera, a neppure trentaquattro anni.
La gente restava impressionata dalla dolcezza dello sguardo del conte Pietro Savorgnan di Brazzà e dal contrasto tra il suo modo timido di parlare e la sua segreta determinazione. Quel celebre esploratore aveva posato per il fotografo Félix Nadar, in compagnia di due ragazzi africani vestiti alla marinara come i loro coetanei francesi. Un’immagine in contrasto con i brutali pregiudizi del colonialismo. Malgrado fosse stato nominato governatore del Congo francese, Brazzà era stato poi destituito con l’accusa di «fare filantropia, rifuggendo da qualsiasi forma di colonizzazione». Era morto a cinquantatré anni, forse avvelenato, di ritorno da un’inchiesta, poi subito dimenticata, su un sanguinoso abuso dei francesi in Congo.
La contessa Potocka, nata Emanuela Pignatelli, era, secondo Proust, una femme fatale altera e strana. Crudele con gli habitué del suo salotto, ma ancora di più con i suoi corteggiatori, andava spesso da sola nei quartieri malfamati, Parigi sapesse delle sue famose collane di perle. Guy de Maupassant fu una sua vittima. Le scriveva: «Le bacio i piedi e le mani, cara amica – e mi sembra molto poco». Ma non ottenne nulla; Emanuela si divertiva a farlo soffrire prendendolo in giro. Un giorno, durante una gita in barca, era scomparsa dietro i cespugli di un isolotto per poi tuffarsi nuda davanti allo scrittore. Senza ovviamente concedergli nulla.
Ci sono i due Tortoni, padre e figlio, creatori del locale, scherzava De Amicis, «più famoso di molti monumenti immortali». Lì l’atmosfera, sosteneva Balzac, era maliosa e frizzante, un sogno dorato e una distrazione indicibile, in cui ci si sentiva al tempo stesso soli e in compagnia. Tra i dandy in guanti gialli spiccavano il nero di Baudelaire e la testa espressiva di Wagner. Ma una debolezza segreta minava quel mondo spregiudicato: entrambi i Tortoni non ressero alla morte delle loro mogli. Il padre si suicidò e il figlio si ritirò dagli affari.
Con le sue vibranti vedute della capitale Giuseppe de Nittis era arrivato rapidamente alla fama. Entusiasta di Parigi, proclamava: «Nessun francese ama la Francia con una passione più elevata e disinteressata della mia». Benché fosse affascinato dalle parigine che ritraeva splendidamente, era fedele alla moglie, la bella quanto gelosa Léontine. Le sue serate, rinomate per i maccheroni che cucinava di persona e per la vivacità della conversazione, attraevano tutti i grandi, da Wilde ai Goncourt. Ma un ictus lo folgorò. Sulla tomba fu inciso l’epitaffio di un amico, Dumas figlio: «Qui giace / Il pittore Joseph de Nittis / Morto a trentotto anni / Nel pieno della gioventù /Nel pieno dell’amore / Nel pieno della gloria / Come gli dei e i semidei».
L’Italia del Père-Lachaise. Vite straordinarie degli italiani
di Francia e dei francesi d’Italia
a cura di Costanza Stefanori
Skira, Milano, pagg. 274, € 60
Giuseppe Scaraffia